Sralcio sul nostro blog una notizia di certa gravità. Viene da Repubblica Palermo e riguarda un grave atto di "offesa" all'intelligenza delle persone che hanno partecipato alla manifestazione del 23 maggio scorso, in ricordo delle stragi di mafia. Chi legge uno striscione, qualunque cosa vi sia scritto sopra, sa discriminare e qualora si senta profondamente offeso da quello che vi è scritto sopra intraprende quella che Vonnegut chiamava "la semplice arte del dialogo". E invece no. A Palermo è accaduto altro, che si allinea a simili manifestazioni di intolleranza equamente distribuite sul territorio nazionale.
"A Palermo, sabato 23 maggio, durante la commemorazione del diciassettesimo anniversario della strage di Capaci, davanti all’albero Falcone in via Notarbartolo, alcuni agenti di polizia hanno fermato e trasferito in questura tre lavoratori dei Cobas che esponevano uno striscione presente da anni in tutte le manifestazioni antimafia, con la scritta LA MAFIA RINGRAZIA LO STATO PER LA MORTE DELLA SCUOLA. Uno slogan -secondo quanto riferito in un comunicato dei COBAS- che evidentemente vuole sottolineare come la lotta alla mafia deve essere condotta, oltre che sul livello repressivo, anche su quello del miglioramento delle condizioni socioeconomiche di una larga parte di popolazione che diviene il bacino di arruolamento e di consenso all'agire malavitoso. Da questo assunto la necessità di un intervento dello Stato verso la garanzia di dignitose condizioni di vita per tutti i cittadini da garantire con un'offerta di servizi sociali (scuola, sanità, trasporti, ecc.), di lavoro o di un reddito minimo garantito”.
"I tre rappresentanti dei COBAS accompagnati in questura nel pomeriggio di sabato 23 maggio sono stati denunciati per vilipendio allo Stato, resistenza a pubblico ufficiale e per manifestazione non autorizzata, mentre altri gruppi che esponevano striscioni contro i depistaggi nelle inchieste sulle stragi di mafia, o contro il pacchetto sicurezza e le misure annunciate contro i migranti, potevano continuare ad esporre i loro striscioni fino alla fine della manifestazione. Evidentemente lo striscione dei COBAS toccava un nervo scoperto degli organizzatori e dei rappresentanti istituzionali, dopo che nella mattinata, caratterizzata da frequenti richiami al nesso tra la scuola e la legalità, diversi ministri tra i quali Maroni e la Gelmini avevano caratterizzato con la loro presenza le manifestazioni ufficiali, alla presenza del Capo dello Stato. Sembrerebbe che l’invito a far ritirare lo striscione dei COBAS sia pervenuto alla polizia dall’associazione della sorella del giudice Falcone, che aveva richiesto le autorizzazioni per la manifestazione. Una manifestazione che non era soltanto commemorativa, neppure nelle intenzioni degli organizzatori, e che è stata ritenuta, da qualcuno, come appannaggio esclusivo di chi la aveva promossa, puntando proprio sul tema della legalità e della scuola, come confermato dalla presenza organizzata di centinaia di giovanissimi studenti fatti arrivare da diverse parti d’Italia."
"La memoria delle vittime della mafia, nel doveroso rispetto del dolore dei congiunti delle vittime, non appartiene a gruppi privati ma fa parte della memoria collettiva di tutti i cittadini palermitani, che in passato hanno partecipato, a centinaia di migliaia, alle diverse manifestazioni antimafia con striscioni ben più determinati contro la presenza della mafia e dei suoi favoreggiatori nelle istituzioni. Anche quando negli anni ’90 si erano attaccati i vertici della polizia e dei servizi segreti. Basterà scorrere i giornali ed i libri di storia per verificare come in passato, durante le manifestazioni in onore dei giudici uccisi e delle loro scorte, gli striscioni erano ancora più polemici nei confronti delle istituzioni e dello stato, di quello esposto ieri dai rappresentanti dei Cobas."
"Qualcuno, piuttosto che puntare il dito contro chi esprime un legittimo dissenso, dovrebbe interrogarsi perché oggi alle manifestazioni antimafia partecipano esclusivamente i rappresentanti istituzionali, gli addetti ai lavori e le loro scorte, e solo alcuni soggetti sociali come gli alunni delle scuole specificamente invitati ed organizzati. E’ venuta meno la partecipazione spontanea dei cittadini, e quando questa si esprime sembra non trovare spazio per esprimere il proprio dissenso. La presenza pacifica di un piccolo gruppo di manifestanti, sotto uno striscione non gradito agli organizzatori, è bastata a fare contestare i reati di manifestazione non organizzata e di vilipendio allo Stato, come se esprimere il proprio diritto di critica verso chi vorrebbe gestire le istituzioni dello stato come una azienda privata, attaccando la indipendenza della magistratura, la libertà di informazione e i diritti di libertà per imporre politiche antisociali nella scuola, nel mondo del lavoro e in tutti gli altri comparti della nostra società, potesse diventare un fatto penalmente perseguibile a discrezione di qualche associazione o di alcuni agenti di polizia."
"Appare evidente come si sia voluto difendere in questo modo la trasformazione della manifestazione del 23 maggio in una parata ufficiale, reprimendo pacifiche manifestazioni di dissenso sociale che denunciano, proprio nel settore dell’istruzione, le scelte tendenti alla privatizzazione come un regalo alle mafie che alimentano il proprio consenso sulla ignoranza e sul cattivo funzionamento della scuola pubblica, mentre i figli dei ceti più abbienti, e della borghesia para-mafiosa, possono studiare nelle scuole private ed anche all’estero. Il processo di privatizzazione, condannando al dissesto la scuola pubblica, abbatte uno degli argini più importanti che in questi anni sono stati alzati con uno sforzo enorme da migliaia di insegnanti, in gran parte precari, che, quartiere per quartiere, si sono battuti contro la mafiosità quotidiana. Una battaglia che è stata anche la battaglia degli esponenti dei COBAS fermati dalla polizia, condotti in questura e denunciati per gravi reati, solo perché volevano manifestare con uno striscione richiamandosi a questa loro, e nostra, battaglia quotidiana contro la mentalità mafiosa e l’aperto consenso verso la mafia che dilaga, come confermano recenti inchieste, nelle scuole di ogni ordine e grado."
"La riduzione del numero delle classi, l’aumento degli alunni per ciascuna classe e il licenziamento di quasi sessantamila insegnati, come hanno denunciato i COBAS, dequalifica la scuola, crea disagio sociale e dà elementi alla mafia per conquistare i giovani emarginati del meridione. Questo messaggio, riassunto nella frase contenuta nello striscione incriminato, non è stato ritenuto tollerabile da chi ha impartito l’ordine di sequestrare lo striscione e di fermare i tre lavoratori della scuola che lo sostenevano, accusati addirittura di avere organizzato una manifestazione non autorizzata all’interno della manifestazione commemorativa del giudice Falcone, della moglie e degli agenti della scorta. Come se esporre uno striscione non gradito agli organizzatori configurasse automaticamente la violazione del divieto di manifestazione non autorizzata. Una concezione assai preoccupante della democrazia e dell’ordine pubblico."
"Quanto successo a Palermo costituisce una conferma ulteriore, se mai ve ne fosse ancora bisogno, della svolta autoritaria in corso in Italia, come confermato anche dalle norme contenute nel recente disegno di legge sulla sicurezza, che precarizza i migranti, ma colpisce anche direttamente tutte le fasce più deboli della popolazione italiana, con la nuova normativa sulla residenza e la idoneità degli alloggi. Si tende a criminalizzare non solo gli immigrati irregolari ma anche tutte le aree del dissenso sociale. Si reintroduce il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, un reato tipico del codice penale fascista, dopo che era stato abrogato, anche per effetto di sentenze della Corte Costituzionale, e lo si prevede con una sanzione ancora più grave di quella stabilita in precedenza con la reclusione fino a tre anni. Un ipotesi che, come osservano gli studiosi (Cognini) verrà usata facilmente dentro contesti di conflittualità sociale che si possono determinare nei prossimi mesi. La stessa cosa possiamo dire anche in riferimento agli aggravamenti che riguardano il reato di danneggiamento, che andranno quindi a colpire comportamenti sociali diffusi, cose di scarsissimo allarme sociale come possono essere la semplice scritta o il disegno su un muro, che non rappresenta certo pericolosità e non configura nessun elemento di rischio, ma che viene punito pesantemente proprio per quello che rappresenta il gesto, per il significato o il contenuto di una scritta. Lo stesso vale per l’imbrattamento o il deturpamento."
"Un altro aspetto di forte preoccupazione, che si sottolinea, riguarda poi una specifica aggravante che verrà contestata a chi commette un reato con la partecipazione di soggetti minorenni. In precedenza l’aggravante riguardava il fatto di commettere un reato avvalendosi di minori e quindi presupponeva un comportamento attivo, l’utilizzo di un minorenne. Questa parte viene modificata e l’aggravante diventa il solo fatto che il reato venga commesso in un contesto in cui sono presenti soggetti minorenni. E questo non ha nulla a che vedere con una maggiore tutela, ovviamente legittima, dei minori. Se pensiamo per esempio all’invasione di edifici, a tutte quelle forme di riappropriazione di spazi pubblici che passano attraverso le occupazioni, ci rendiamo conto come l’aggravante possa essere facilmente utilizzata. Ci sono infatti fenomeni sociali di rivendicazione di diritti e di extra-legalità che, fisiologicamente, per composizione sociale, comprendono soggetti maggiorenni e minorenni, sui quali sarà applicata l’aggravante di reato (Cognini)."
"Esiste una continuità diretta tra le decisioni del ministro dell’interno, le scelte antisociali del governo, le prassi delle forze di polizia, l’obiettivo comune è la cancellazione di ogni forza organizzata di dissenso sociale. Si vuole mantenere ed accrescere la divisione tra le forze di opposizione, sulla base del consueto paradigma che definisce violenta e contro le istituzioni qualsiasi posizione di protesta che non si piega ad un compromesso finale o alla logica dei rapporti di forza esistenti. Una violenza, individuata anche in una presunta resistenza, che cessa di essere ipotesi di responsabilità individuale, che andrebbe comunque accertata in sede giurisdizionale, per trasformarsi in responsabilità collettiva e quindi nella delegittimazione preventiva di intere organizzazioni o di gruppi che praticano il conflitto sociale, ieri la CGIL, oggi i COBAS ed i centri sociali, domani non si sa chi.
Il rischio alla fine è che le nuove disposizioni di legge, anticipate dalle prassi di polizia, e gli apparati di controllo sociale e di riproduzione dei consensi, orientino l’opinione pubblica verso allarmi fasulli, verso una falsa sensazione di (in)sicurezza, nascondendo anche l’evidenza dei fatti e la violazione sostanziale delle regole e del sistema delle libertà e delle garanzie, che caratterizzano lo stato di diritto sancito dalla Costituzione. Quanto ci rimane oggi dello stato di diritto, e cosa può fare ciascuno per difendere le residue prospettive di democrazia e libertà? Come salvaguardare in futuro il diritto al dissenso e la libertà di manifestazione? Come si potrà battere la mafia se non si potrà combattere per la garanzia dei diritti sociali, come il diritto alla istruzione pubblica? Interrogativi che ieri, in tanti si ponevano a Palermo, durante la commemorazione del giudice Falcone, mentre i tre esponenti dei Cobas venivano portati via dalla polizia per avere esposto uno striscione non gradito. Qualcuno pensava anche a manifestazioni non autorizzate alle quali aveva partecipato in passato. Come dopo la strage di via D’Amelio, nella quale vennero trucidati il giudice Borsellino e gli agenti della sua scorta. Un corteo spontaneo di cittadini e poliziotti, in via Roma, verso la Prefettura di Palermo, con le mani appoggiate sulle macchine della polizia con i lampeggianti accesi."
Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo
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