[Per non sapere né leggere né scrivere] "L'espressione vuol dire chiaramente: per essere sicuri, per aver tutto in regola, per non rimanere fuori"
12/11/08
DIAMOCI UNA MOSSA
DOCUMENTO DEL COLLEGIO DEI DOCENTI DEL LICEO CLASSICO “F. SCADUTO” DI BAGHERIA (PALERMO)
Il Collegio dei Docenti del Liceo Classico “F. Scaduto” di Bagheria con la presente mozione intende esprimere alcune considerazioni sulle misure che il Governo ha attuato o ha intenzione di attuare relativamente alla Scuola pubblica, in particolare l'articolo 64 della Legge 133/2008, il Decreto Legge 137/2008 (detto comunemente “Decreto Gelmini), l'articolo 3 del Decreto Legge 154/2008 e infine lo “Schema di Piano Programmatico” 2009-2011 concertato dal Ministero dell'Istruzione e dal Ministro dell'Economia.
Una prima considerazione critica riguarda il “metodo politico” seguito dal Governo.
Se finora, per usare le sue stesse parole, non è stata attuata una “politica che realizzasse un disegno organico ed un intervento riformatore unitario e condiviso” e se è “necessario un profondo e sereno ripensamento dell'impianto complessivo del nostro sistema scolastico” (Schema Piano Programmatico, pag. 1), non riusciamo a capire come tutto ciò possa accadere se tutte le misure vengono prese attraverso una legislazione frettolosa, basata sull'impiego dei Decreti Legge e sul ricorso al vincolo del Voto di fiducia in Parlamento.
In questo modo si rinuncia al ripensamento articolato della problematica scolastica nella sede legislativa per eccellenza, in cui tutte le posizioni politiche hanno, almeno in linea di principio, possibilità di confrontarsi. Così, inoltre, si elimina ogni possibilità di reale dibattito con chi nella scuola lavora e vive e con tutti quei soggetti direttamente interessati alle misure prese: associazioni dei lavoratori della scuola (docenti, presidi, personale ATA), degli alunni, dei genitori, sindacati, enti locali (province, comuni etc.).
Si tratta, invece, di un modo assolutamente verticistico e superficiale di affrontare problemi che richiedono un percorso più lungo e più complesso. Le semplificazioni e le scelte nette non vanno poste all'inizio semmai alla fine di un processo ponderato, fatto di studio della realtà, di ascolto dei bisogni e delle proposte e di tanto altro ancora.
Quanto al merito delle proposte del Governo vogliamo soltanto soffermarci su alcuni punti significativi che riguardano le grandi aree di intervento delineate dal Documento programmatico, sulla base delle leggi 133 e 137 del 2008: a) la revisione degli ordinamenti scolastici; b) la riorganizzazione della rete scolastica; c) il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane.
a) Per quanto riguarda la revisione degli ordinamenti scolastici, dai testi governativi finora emerge su tutto quella che, con brutta parola, il ministro chiama “essenzializzazione”, ovvero una riduzione significativa delle ore di lezione, dalle elementari fino alle superiori.
Ben venga una armonizzazione e semplificazione dei numerosissimi piani di studio, purché tutto ciò non vada a discapito della qualità e della quantità del tempo che gli alunni devono e possono trascorrere a scuola, ad esempio il tempo prolungato per le elementari e le secondarie di I grado, oppure le ore di lezione e di laboratorio per gli alunni delle scuole superiori (un tetto settimanale massimo di 30 o di 32 ore danneggia qualsiasi forma di attività sperimentale o laboratoriale).
No dunque alla riduzione delle ore di lezione e di laboratorio. Ciò vale anche per i Centri di istruzione per gli adulti (le cosiddette “scuole serali”), anche gli adulti – studenti lavoratori o altro – hanno diritto a una formazione ancora più qualificata di quella che ricevono, non “essenzializzata”.
Non possiamo neanche condividere la scelta di introdurre il maestro unico nelle scuole elementari e di ridurre la possibilità di lezioni in compresenza nelle scuole medie. Le ragioni “pedagogiche” della presenza del maestro unico ci appaiono molto discutibili – ed è bene che se ne discuta – (Documento programmatico p. 7), mentre molto più valida sotto il profilo pedagogico resta la soluzione, finora attuata, del modulo di tre docenti che lavorano su due classi (non si tratta, come falsamente qualcuno dice e pensa, di tre docenti che lavorano contemporaneamente nella stessa classe).
La questione potrebbe porsi inizialmente anche in modo molto semplice: è meglio che possa occuparsi di trenta bambini una équipe qualificata o che tutto ricada su un'unica figura?? Senza voler impartire dogmi o fare confronti troppo schematici, ma solo per introdurre una analogia utile alla discussione, rileviamo che da 7 anni nel nostro Istituto la figura dell'insegnante unico di lettere del biennio (18 ore settimanali!) è stata superata, praticando la cosiddetta “verticalizzazione” all'interno del biennio stesso.
I due docenti di lettere lavorano così su due classi, con un duplice effetto positivo: grazie al loro continuo confrontarsi il lavoro risulta più efficace e grazie alla loro presenza gli alunni possono godere di una prospettiva educativa e didattica (vorremmo poter dire persino di una “visione del mondo”) più ricca e diversificata.
Altro punto dolente è quello della eliminazione degli insegnanti specialisti di lingua inglese alle elementari: non basta un corso di 150 ore per diventare dei docenti di lingua straniera. Chi pensa questo mortifica la professionalità dell'insegnamento delle lingue, che proprio di fronte ai più giovani richiede competenze didattiche maggiori e più raffinate.
Sembra che il motto, tanto caro al Capo del Governo attuale, delle tre I - Inglese, Informatica e Impresa – abbia perduto qualche pezzo per strada... Inoltre questa idea semplicistica della formazione degli insegnanti, per cui basta qualche decina di ore di corso a formare una professionalità, sembra essere ripresa anche dall'intenzione del Ministro di accorpare le classi di concorso (vd. Piano programmatico Punto (c)).
Quasi che in maniera del tutto automatica saperi e competenze specialistici, costruiti negli anni di studio, di formazione e di pratica didattica (nel caso di chi già nella scuola lavora) possano essere interscambiabili come delle pedine di dama.
Lo ribadiamo, la scuola pubblica ha certo bisogno di un impiego migliore delle risorse esistenti, ma questo non implica che queste risorse debbano essere ridotte o considerate una mera variabile quantitativa che peraltro non incide sulla qualità. Razionalizzare, rendere più efficienti ed efficaci strutture e risorse non vuol dire automaticamente meno investimenti economici, meno ore di scuola, meno insegnanti, blocco del reclutamento del personale e altre misure che mirano al ridimensionamento – ovvero “essenzializzazione”, null'altro che un sinonimo di “semplificazione” o di “riduzione all'osso”– dell'esistente stesso.
Può invece significare un maggiore impegno economico affiancato a un migliore impegno organizzativo e alla valorizzazione complessiva delle energie esistenti. Se, ad esempio, è vero che “il rapporto insegnanti-studenti è decisamente più alto rispetto alla media europea” (perché poi questo sarebbe un male?) è anche vero che la quantità di PIL impegnata nella scuola (per non parlare dell'Università) è al di sotto della media europea (intorno al 4%); se è vero che “si riscontrano” consistenti divari tra gli esiti scolastici degli studenti italiani e quelli degli altri paesi OCSE” è anche vero che questo divario riguarda in particolare le scuole medie e superiori, non certo le elementari, perché dunque intervenire così pesantemente anche dove le cose funzionano bene?
Inoltre – se si fa una lettura davvero completa dei dati – va detto che i risultati negativi della rilevazione riguarda in particolare le scuole del meridione. Questo dato induce a porre domande più serie – fuori da ogni semplificazione pedagogica o sociologica – che riguardano non solo il ruolo e la responsabilità del sistema scolastico ma anche la struttura e la qualità della società e del territorio in cui esso opera. Non si tratta dunque di sottrarsi a una autocritica anche da parte degli operatori scolastici ma di trovare strade più mirate e meno semplicistiche per risolvere i problemi...
b) Per quanto riguarda la riorganizzazione della rete scolastica, riteniamo che sia doveroso e utile fare il possibile per ridurre sprechi e disfunzioni. Ma ancora una volta, ciò che va considerato in primo luogo è la qualità del servizio di cui lo stato vuol farsi carico e quali sono le funzioni alle quali esso non può e non deve derogare.
La scuola è un'istituzione che risponde a un bisogno dei cittadini, la sua presenza nel territorio è anche il segno della presenza dello stato – sia esso unitario o federale –, questo è un dato che non può essere semplicemente considerato come un “peso” economico, ma come un valore sociale e civile. Sappiamo che la scuola è anche un luogo di promozione della cultura e della cittadinanza ben al di là delle semplici ore di lezione che si svolgono di mattina.
E' in altre parole una risorsa fondamentale del territorio. Ma anche se vogliamo limitarci ad una logica “economicistica”, se è vero che la soppressione di alcune scuole porterà un risparmio, ci chiediamo se questo comporterà davvero un adeguato l'impegno delle regioni e degli enti locali a garantire la mobilità di alunni e lavoratori della scuola. Ci potremo poi anche chiedere quanto questo impegno inciderà sulle imposte locali, ma questa è un'altra storia.
c) Il razionale ed efficiente impiego delle risorse umane della scuola ci appare un obiettivo di fondamentale importanza. Ma dalle misure finora avanzate e dal piano programmatico ci pare che la razionalità e l'efficienza si traducano semplicemente: nella riduzione delle ore di scuola (vedi sopra al punto a); nell'accorpamento di macroaree disciplinari (tramite accorpamento delle classi di concorso), a scapito della valorizzazione delle competenze specifiche di ciascuno – dato che emerge anche dalla formazione “essenzializzata” dei docenti di lingua inglese – e in una significativa riduzione della qualità dell'insegnamento dovuta a tutta una serie di fattori di cui basti qui ricordare soltanto quello immediatamente più evidente, ovvero l'aumento del rapporto numerico fra docenti e alunni.
Questa misura va tutto a scapito della possibilità di seguire meglio i nostri studenti. E' oltremodo difficile pretendere di ottenere buoni risultati se ci troviamo di fronte a classi sempre più numerose, in cui la possibilità stessa del dialogo educativo e dell'ascolto reciproco viene ridotta al lumicino e per ragioni di tempo e perché si è in troppi.
In un quadro del genere, aggiungiamo, risulterebbe ancora più grave la diminuzione degli insegnanti di sostegno alle classi composte anche da alunni con handicap. Anche i docenti di sostegno mantengono elevato il rapporto insegnanti studenti, ma questa è una scelta di civiltà che l'intera Europa ci invidia: ridimensionare il sostegno ci farebbe davvero tornare indietro.
A questo proposito la stessa perdita di titolarità della cattedra (e dunque la mobilità) e la riconduzione a 18 ore di tutte le cattedre, impediranno di fatto, o limiteranno di molto, la disponibilità dei docenti alla flessibilità oraria, alle attività integrative, alle attività di progettazione didattico-educativa specifica dei singoli istituti e a tutte quelle iniziative che rendono una scuola attiva e protagonista proprio su quel territorio di cui tanto si parla.
Per fare qualche esempio concreto, le attività di biblioteca, le supplenze, le co-docenze, i laboratori, gli sportelli di ascolto e tutte le attività di preparazione di iniziative didattiche richiedono che gli insegnanti siano presenti a scuola proprio nelle ore mattutine, peraltro con grande beneficio della qualità dell'offerta formativa e con un impegno che va ben al di là del monte ore settimanale e contrattuale. Chiunque operi nel concreto della vita scolastica sa bene che il numero di ore di lavoro è superiore che parte dell'opinione pubblica erroneamente attribuisce agli insegnanti.
In questo momento così delicato per la scuola e in generale per la società italiana, momento di grande mobilitazione da parte di tutte le componenti della scuola e dell'università, ci sentiamo particolarmente coinvolti, sia in quanto cittadini sia in quanto lavoratori e operatori nell'ambito dell'educazione e della conoscenza. A questo proposito riteniamo che sia opportuno che i docenti riaffermino il valore della loro funzione professionale e culturale, riflettendo ed esprimendosi su quanto accade proprio a partire dalle loro specifiche funzioni e competenze.
Siamo parte integrante del mondo della scuola, lo viviamo e contribuiamo alla sua creazione ogni giorno, siamo soggetti attivi, consapevoli e capaci di interpretare il ricco contesto in cui agiamo, non meri esecutori di direttive burocratiche, per quanto anche il compito dell'amministrazione implichi margini significativi di creatività e iniziativa.
Per questa ragione ci sembra fondamentale che i docenti dicano la loro sulla politica della scuola e che contribuiscano a elaborare critiche e proposte. Si tratta, insomma, di un fondamentale atto di democrazia e di affermazione del proprio compito, senza nulla togliere ai compiti e alle funzioni specifiche degli organi di governo, dei partiti, dei sindacati di settore etc.
La protesta di questi giorni è – a nostro giudizio – anche il frutto di un atteggiamento di chiusura preventivo, che peraltro non è stato nemmeno corretto da credibili inviti al dialogo. Certo, è difficile per il Ministro dialogare su qualcosa che è già stata deciso e che si ritiene inderogabile.
Tuttavia crediamo che si possa e si debba ancora discutere, senza fingere che non vi siano punti spinosi e problemi da risolvere nel sistema scolastico del nostro paese. Bisogna dunque trovare il modo per attivare il confronto pubblico, in tutte le sedi opportune, in primo luogo dentro la scuola.
Approvato all'unanimità
Bagheria 29 ottobre 2008
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