runniegghié
[Per non sapere né leggere né scrivere] "L'espressione vuol dire chiaramente: per essere sicuri, per aver tutto in regola, per non rimanere fuori"
22/09/13
18/09/13
SEGRETARIOOOO
Il Decreto Legislativo 297 del 1994 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione) - normativa non disapplicata, e quindi ancora vigente, dopo il CCNL del 2003 - definisce le figure che compongono i consigli di classe. Lo scrivo per fare chiarezza e per distinguere un ruolo dal volontariato. L'art. 5 (comma 1) dice che fanno parte dei consigli di classe i docenti della classe nonché (comma 2) due rappresentanti eletti dai genitori degli alunni iscritti alla classe, nonché due rappresentanti degli studenti, eletti dagli studenti della classe. Comma 5, le funzioni di segretario del consiglio sono attribuite dal preside a uno dei docenti membro del consiglio stesso. I consigli di classe, inoltre (comma 8) sono presieduti dal preside oppure da un docente, membro del consiglio, loro delegato. I consigli di classe valutano l'andamento scolastico, vero, riunendosi in ore non coincidenti con l'orario delle lezioni, col compito di formulare al collegio dei docenti proposte in ordine all'azione educativa e didattica e ad iniziative di sperimentazione e con quello di agevolare ed estendere i rapporti reciproci tra docenti, genitori ed alunni. In particolare esercitano le competenze in materia di programmazione, valutazione e sperimentazione previste dagli articoli 126, 145, 167, 177 e 277. L'art. 277, a cui pochi ormai fanno caso, dice letteralmente, al comma 1, che "la sperimentazione, intesa come ricerca e realizzazione di innovazioni sul piano metodologico-didattico, deve essere autorizzata dal collegio dei docenti ove, pur non esorbitando dagli ordinamenti vigenti, coinvolga più insegnamenti o richieda l'utilizzazione straordinaria di risorse dell'amministrazione scolastica". L'argomento suggerisce un'interessante riflessione: cioè, se la sperimentazione non coinvolge più insegnamenti non deve essere autorizzata dal collegio dei docenti, ovvero ogni docente può fare la propria sperimentazione indipendentemente da altri che, magari, la fanno sulla stessa classe per ottenere differenti risultati. Come la mettiamo con la salute mentale delle cavie?
18/11/12
CI RISIAMO
Minoranze rioccupano le scuole a Palermo: lo spettacolo ricomincia dal Cannizzaro. Si attendono evoluzioni.
NELLE CORDE.
Ecco la mia lettura. Una delle maniere per depotenziare il valore del lavoro di interi collegi, o assemblee, di insegnanti che si stanno muovendo gradualmente sfidando da dentro il sistema scuola voluto dal Ministero è quello di farli passare per facinorosi "come quelli che occupano". E siccome finora nessuna scuola era stata occupata, in tutta Italia, ma la pressione delle assemblee di docenti aveva "dovuto" far cambiare idea al Governo intorno a certe decisioni "impopolari ma necessarie", è arrivato il momento per qualcuno di suggerire, o far suggerire, a frange di studenti che la maniera giusta per dimostrare l'opposizione alla legge Aprea, o che dir si voglia, è quello di fare fronte occupando le scuole. In questa maniera gli studenti fanno da boomerang nei confronti dei docenti, fornendo a "chi di dovere" un poker d'assi servito. Insomma, secondo me (e mi prendo la responsabilità di quello che scrivo), siccome gli studenti si possono manipolare (sono masse, mosse da pochi) e gli insegnanti no, per togliere valore e forza al lavoro lento ma senza sosta degli insegnanti è possibile minarlo alla base facendo eccitare la questione con una procedura, quella delle occupazioni, che, notoriamente, non raggiunge mai i risultati voluti e, anzi, provoca recrudescenze o accelerazioni in senso contrario.
NEI FATTI.
Sabato scorso ero al Cannizzaro e ho assistito ad una concitata assemblea nella quale era evidente la "spaccatura" dei rappresentanti degli studenti (2 favorevoli, 2 contrari). A tale spaccatura facevano riscontro gli studenti che da una parte inneggiavano all'occupazione "per sostenere il valore della cultura" e altri che intendevano rimanere a scuola per convincere i primi dell'inutilità del gesto ma, per questo, invitati ad andarsene, se proprio erano contrari a rimanere.
NELLE PAROLE.
In questa operazione, alla luce di quanto ho scritto, c'è una regia che in maniera sibillina sostiene le opposizioni per stimolare il governo ad operare senza ascoltare le ragioni di chi vive, e vivrà, la scuola del post riforma: e non saranno certo questi studenti liceali. Dunque, chi opera nell'ombra? La storia d'Italia si è nutrita di queste ombre in tutti i tempi, ombre che rischiarano e spariscono dopo aver fatto luce, ma ci vogliono anni e nel frattempo quei gesti e quelle operazioni "nell'ombra" hanno perso lo smalto del tempo.
23/09/12
QUASI 44 ANNI FA
Gentili Dirigenti Scolastici,
mi permetto di fare notare che esiste la circolare non abrogata n.177 del 14/05/1969 (partita da una circolare del 1964, quando era ancora Ministro dell’Istruzione Luigi Gui, uno dei padri costituenti della Repubblica Italiana) il cui oggetto (Riposo festivo degli alunni. Compiti scolastici da svolgere a casa) suscita la sorpresa, se non la critica o l’ilarità, da parte dei colleghi docenti. Siccome, come si suole fare, i Regolamenti d'Istituto devono tenere in considerazione sia lo Statuto delle Studentesse e degli Studenti che la legislazione vigente in materia di scuola, va da sé che la suddetta circolare vada diffusa a tutti i CdC affinché docenti e allievi ne possano tenere conto nel prosieguo del presente anno scolastico.
Cordiali saluti
19/09/12
LE MAESTRINE
Consentitemelo: i CdC non sono barlumi di saggezza, piuttosto l'eterno ritorno all'ingessatura.
Per questo, non mi piace:
chi è supponente e si atteggia a "professore"
chi, dall'alto del suo ruolo, giudica e profetizza
chi non accetta critiche
chi non tollera la vivacità degli allievi
chi vuole a tutti i costi "scolarizzare"
chi non intende cambiare metodo di lavoro
chi la sa lunga
chi si sente attaccato se qualcuno gli fa notare che...
chi parla sovrapponendosi
chi fa fare i compiti a casa
chi dà i voti col + e col -
chi è sconfortato dalla gioventù
chi è sicuro del fatto suo
chi inculca doveri e coercizioni
chi dice "attenzionare" (e poi, magari, insegna italiano)
chi è quasi alla pensione
chi sa che tanto le famiglie se ne fregano
chi mente
chi dice "tu non lo sai, sei nuovo di qui"
chi s'inalbera quando arrivano proposte "mai sentite"
chi "non ti preoccupare, tu, me la vedo io"
Per questo, non mi piace:
chi è supponente e si atteggia a "professore"
chi, dall'alto del suo ruolo, giudica e profetizza
chi non accetta critiche
chi non tollera la vivacità degli allievi
chi vuole a tutti i costi "scolarizzare"
chi non intende cambiare metodo di lavoro
chi la sa lunga
chi si sente attaccato se qualcuno gli fa notare che...
chi parla sovrapponendosi
chi fa fare i compiti a casa
chi dà i voti col + e col -
chi è sconfortato dalla gioventù
chi è sicuro del fatto suo
chi inculca doveri e coercizioni
chi dice "attenzionare" (e poi, magari, insegna italiano)
chi è quasi alla pensione
chi sa che tanto le famiglie se ne fregano
chi mente
chi dice "tu non lo sai, sei nuovo di qui"
chi s'inalbera quando arrivano proposte "mai sentite"
chi "non ti preoccupare, tu, me la vedo io"
05/09/12
2012 SCIENTIFICI
Quest'anno mi rimetto a scrivere su Runniegghié. Avevo bisogno di una pausa, me la sono presa, ora si rimette mano. La mia esperienza di precario di ruolo mi ha portato due anni fa a Caccamo, lo scorso anno al Liceo Dolci e al Liceo Croce di Palermo, quest'anno agli scientifici D'Alessandro di Bagheria e Cannizzaro di Palermo. Confronti da fare? Non lo so. Certo, l'aspetto esteriore e organizzativo per ora mi dà vincente il liceo di Bagheria. Vedremo...
06/12/11
SURREALISMO SICULO
Colgo l’occasione dell’inaugurazione di una mostra come quella delle Avanguardie Russe a Palermo, inaugurata il 3 dicembre scorso, per evidenziare la discrasia tra il dire e il fare. Sarà una cosa lunga.
Il comunicato stampa che accompagna l’esposizione, sobriamente trionfale, e che con grande ponderatezza l’ufficio che ne cura l’immagine colloca su una serie di magazine on line, tranne che su Rosalio (oppure siamo distratti noi?), la definisce “un’occasione straordinaria per ripercorrere quel fil rouge che rintraccia i legami e le influenze fra il mondo artistico russo e quello occidentale”.
Segue la dichiarazione, ritengo spontanea, dell’Assessore Regionale ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana Sebastiano Missineo: “Dopo il grande successo dell’esposizione a Mosca dei capolavori di Antonello da Messina provenienti dai Musei della Regione Siciliana – afferma – promuoviamo un’altra iniziativa di altissimo profilo culturale che il pubblico italiano, anche approfittando delle festività di fine anno per visitarla, sicuramente apprezzerà”.
Questa la teoria, accreditata da diversi siti e da altrettanti giornali. Stamane mi sono presentato presso la sede dell’esposizione dove ho trovato - con mia sorpresa e, perché no, disappunto - solo alcuni impiegati volenterosi a presidiare il sito, che mi hanno consentito l’ingresso alle sale dispiaciuti per non potermi dare nemmeno lo straccio di una brochure, un depliant, chessò, una cartolina, figuriamoci un catalogo. Per cui, a dispetto dei curatori Victoria Zubravskaya e Giulia Davì, nonché del coordinamento organizzativo di Civita (a cui è associata la Fondazione del Banco di Sicilia), il primo impatto del visitatore con la mostra lascia molto a desiderare. L’allestimento è molto elementare, ci sono, è vero, alcuni pannelli descrittivi dei periodi “pittorici”, ma le opere stanno messe lì, una di Kandinskji addirittura in ombra perché debitrice di una lampada non funzionante (ma la mostra non è stata inaugurata solo 4 giorni fa?). Le sale rimangono algide a dispetto dei valori cromatici espressi nelle opere e anche la doppia mostra fotografica aggiunta di di Viktor Akhlomov e Gabriele Lentini, curata da Daniela Brignone, presidente di Assocultura (espressione di ConfCommercio), che viene visitata a seguire, manca di un catalogo (per quanto sul web venga dichiarato il contrario, con una edizione Balarm), di una brochure o di un qualunque materiale editoriale che avrebbe, almeno, rammentato gli autori, i contenuti e il senso di un progetto culturale.
Insomma, no comment.
Ma non mi basta, per cui chiedo alla “guardiania” dove posso reperire un catalogo della mostra che, peraltro, è di Silvana Editoriale a cui non manca la “potenza di fuoco” quando si realizzano mostre di tale portata. Risposta: “Deve andar a Piazza Croci, all’Assessorato”, “Oppure - interviene una signora lì presente - vada a Piazza Politeama (sic!) dietro il palchetto della musica che (testuali parole) c’è il turismo”: potenza della sineddoche. Dunque, vado a Piazza Croci. La portineria già scalpita alla mia domanda, come si suole fare in Palermo, e ognuno ha la sua versione dei fatti, ma il quid (o catalogo) sta “a museografia, al secondo piano, chieda di...” e fanno un nome che ora non ricordo. Lascio il mio documento, ritiro il mio pass, salgo al secondo piano e chiedo di... Attendo, ma “di...” non arriva, dopo un quarto d’ora ecco “di...” che mi dice di attendere che anche lui non sa dove possono essere “quei” cataloghi. Dunque, ci sono ma non sanno dove stanno. Eppure - leggendo tra le pieghe di sponsorizzazioni, sostegni, patrocini e accreditamenti vari - non si può ritenere possibile che l'evento pianga povertà. Il catalogo di almeno una delle due mostre, che dovrebbe costare 18€ al pubblico (secondo quanto dichiarato dal sito dell'editore), potrebbe essere messo in esposizione e, in taluni casi, anche omaggiato.
Fatto sta che non sono paziente, attendo un altro quarto d’ora e, visto che non arriva nessuno, men che mai “di...”, vado al “turismo” che, per il resto degli esseri umani locali è l’Ufficio Provinciale del Turismo in cui, ovviamente, il catalogo non c’è, ma c’è di più: loro hanno appreso della mostra (con opere di Chagall, Malevic, Kandinskji, Tatlin) dai giornali, ma l’Assessorato Regionale, nella sua magnanimità, non gli ha fatto pervenire nemmeno il baffo di uno Stalin - che come avanguardia stava ai basilari, ma come russo ci ha dato giù pesante. Insomma, al momento ho sbuffato a causa del rimpallo di ignoranze e responsabilità ma poi, riflettendo, ho pensato positivo visto che oltre a passeggiare per le stanze dell’Albergo delle Povere ammirando in un impeccabile silenzio le opere fragorose delle Avanguardie Russe sono stato parte stessa, coinvolto mio malgrado, dell’opera comique del Surrealismo Palermitano.
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09/11/11
IL QUADRO CLINICO
Questa cosa non può passare inosservata. Mi tocca organizzare un documento di programmazione disciplinare delle varie classi in cui lavoro. Il liceo che mi ospita quest’anno (visto che pur essendo un docente di ruolo sono anche un docente turista, cioè uno che ogni anno cambia scuola: un precario ordinario) ha fatto preparare un prestampato, bontà loro, nel quale vanno declinate le voci di ogni singolo paragrafo: docente, classe, analisi iniziale, composizione della classe, note sulla storia della classe, aspetti comportamentali, aspetti cognitivi...
Alla voce “aspetti cognitivi” viene specificato, tra parentesi, che si dovrà indicare la “distribuzione percentuale degli alunni nelle tre fasce di livello di apprendimento” e la “descrizione delle caratteristiche cognitive globali per livello, con riferimento alla tabella di corrispondenza tra voti decimali e livelli tassonomici della P.E.I.” che sarebbe, quest’ultima, anzi quest’ultimo, nella scuola italiana, il Piano Educativo Individualizzato ma nel nostro caso, acronimo dixit, diventa, riprendendosi la sua femminilità, la Programmazione Educativa d’Istituto. Ho riletto un paio di volte questo tra parentesi e poi ho inserito la stringa “descrizione delle caratteristiche cognitive globali per livello” su Google, per vedere cosa diavolo significasse e a quale campo disciplinare si facesse riferimento perché, grazie a Dio, al mia ignoranza è estesa e, per questo, mi faccio sempre tante domande.
I primi dieci record hanno come titolo in blu, nell’ordine dal più importante al decimo: “Psicodiagnostica - Wikipedia”, “Il declino cognitivo globale: le demenze”, “2a Lezione di elementi di neuropsichiatria”, “Una diagnosi di... Items”, “Istituto Superiore Ovidio, Scuola statale d’arte”, “Disturbi cognitivi”, “Dislessia - Come si manifestano i disturbi dell’apprendimento?”, “Informazioni sui farmaci: la memantina”, “Il coma - comunicare il coma”, “Malattia di Parkinson e parkinsonismi”. 9 su 10 esprimono un preciso quadro clinico della situazione e mi collocano fuori campo disciplinare: ovvero, io non ho gli strumenti per rispondere a questa domanda.
Quello che mi si chiede, mi si dirà, è solo far di conto, vedere chi ha preso 8 e chi 4, fare una percentuale rispetto al totale dei presenti, due calcoletti insomma. Ma io non dò voti, non adesso: scrivo giudizi, esprimo idee, mi faccio un quadro della situazione, mi relaziono, cerco di comunicare contenuti; poi, non faccio compiti in classe, non interrogo, non peso numericamente i ragazzi, mi viene difficile, sono persone, no? Per cui non ho il quadretto di informazioni numeriche e nemmeno le capacità di verificare se mi trovo dinanzi quadri personali o situazioni oggettive di disturbi cognitivi o casi di Parkinson. Come farò?
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17/09/11
IL COMMA 5
Le leggi cambiano, vengono riscritte, rimodulate, trasformate per adeguarsi, spesso, ai tempi, alle condizioni culturali di un'epoca e di un popolo. Non è detto che cambino sempre in meglio ma, insomma, sono lo specchio di quel tempo. La storia recente ci ha insegnato che cambiano anche i contratti di lavoro e le modalità di approvazione delle norme. Il mio lavoro, per esempio, per quanto ne so, è regolato da un contratto nazionale che ha definito nel tempo alcune modifiche formali e altre sostanziali. L'originale è il CCNL Comparto Scuola del 4 agosto 1995, modificato dal CCNL Comparto Scuola del 26 maggio 1999. Non voglio farla lunga, per cui mostro un solo comma: riguarda una accezione della funzione docente (in origine: Titolo III, Capo II, Sezione II, Art.38, Comma 5; oggi: Titolo I, Capo IV, Sezione II, Art.23, Comma 5).
Originale
5. I docenti, nella loro dimensione collegiale, elaborano, attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico-didattici, il progetto di istituto, adattandone l'articolazione alle differenziate esigenze degli alunni e tenendo conto del contesto socio economico e culturale di riferimento.
Modifica
5. In attuazione dell’autonomia scolastica i docenti, nelle attività collegiali, elaborano, attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico–didattici, il piano dell’offerta formativa, adattandone l’articolazione alle differenziate esigenze degli alunni e tenendo conto del contesto socio-economico di riferimento.
Spero che la differenza sia chiara, perché a me non va di commentare.
Originale
5. I docenti, nella loro dimensione collegiale, elaborano, attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico-didattici, il progetto di istituto, adattandone l'articolazione alle differenziate esigenze degli alunni e tenendo conto del contesto socio economico e culturale di riferimento.
Modifica
5. In attuazione dell’autonomia scolastica i docenti, nelle attività collegiali, elaborano, attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico–didattici, il piano dell’offerta formativa, adattandone l’articolazione alle differenziate esigenze degli alunni e tenendo conto del contesto socio-economico di riferimento.
Spero che la differenza sia chiara, perché a me non va di commentare.
16/09/11
L'AULA
Due giorni fa, ore 9:00, ho scattato la foto della bellissima aula magna del Liceo Croce di Palermo: larga, alta e profonda, ma anche affrescata e restaurata. Uno spazio comune di lavoro, e di rappresentanza. Oggi, ore 8:00, mi sono trovato a condividere uno spazio comune, stesso Liceo, con 28 ragazzi prossimi alla maggior età. Eravamo tutti nella stessa aula, esposta ad est, senza possibilità di essere oscurata, e respiravamo assieme l'aria di un'area insolitamente esigua rispetto al numero di persone presenti. Diciamo pure che gli standard minimi di sicurezza, oltre che di igiene e salute, sforavano oltremodo. Per 29 persone sarebbe stata necessaria un'aula di almeno 55 metri quadri, oppure grosso modo di 7 metri per 9, con congrui spazi di fruizione tra i banchi, per raggiungere l'uscita in caso di necessità. Non era così. Spero che qualcuno abbia il buon senso di organizzare le aule (luoghi) in funzione delle classi (gruppi di persone), altrimenti mi propongo già da adesso per una sana obiezione di coscienza per non utilizzare spazi pubblici illegali e/o non rispondenti ai requisiti prescritti dalle normative vigenti.
15/09/11
IN SALITA
14/09/11
LA MIA RAZZIONE
Arrivo a scuola con lo scooter, quello che a Palermo chiamano il motore con una graziosa sineddoche. Arrivo e parcheggio dove capita. La fantasiosa area di parcheggio del Liceo Dolci, sede centrale, mi accoglie con l'imprinting letterario di un amante che riflette sull'amore. Alla foto mancano due lettere, ma il senso è chiaro: l'amore non è razzionalità. Mi spiace per il correttore automatico del blog, ma devo forzare l'errore per farlo accettare. Mi piace la doppia z rafforzativa, e la frase successiva che rafforza il concetto precedente. Quella parete non crollerà mai per quanto è stata "rafforzata", il mio motore è al sicuro. Come lo è nell'area dedicata al parcheggio scooter del Liceo Croce, sede centrale: è l'interno della Chiesa S. Giovanni di Dio, costruita nel 1663 dai padri Benfratelli e distrutta nel 1943 da un bombardamento aereo. Fino ad ora ho lasciato riposare il motore accanto ad una delle otto cappelle laterali; da domani, quando tutti vorranno inveire per la loro area di parcheggio dovrò astenermi, probabilmente. Poco importa, la mia "razzione" l'ho avuta.
13/09/11
I MIEI DATI
Secondo giorno. Bisogna ricordarsi di "prendere servizio", ogni scuola invita i propri docenti a prendere servizio compilando mucchietti di carta, ogni volta uguali e ogni volta diversi. Ogni scuola riflette, come in un caleidoscopio, frammenti di inefficienza di un sistema centrale che regola (o sregola) la vita dei singoli istituti mentre, al tempo stesso, non riesce a ottimizzare procedure e burocrazie spesso inutili, oppure duplicati e ripetizioni di altre burocrazie e procedure. Ritengo che, una volta entrato nel sistema del pubblico impiego (anche se non penso all'insegnamento come ad un semplice impiego), i miei dati, fin tanto che io non chiedo di aggiornarli, siano acquisiti dal mio datore di lavoro che è il Ministero della Pubblica Istruzione (mentre il mio datore di stipendio è il Ministero delle Finanze). Il mio datore di lavoro, una volta che mi ha consentito di accedere ufficialmente al "ruolo" di insegnante, ha preteso, giustamente, che io gli dessi tutti quei dati utili a riconoscermi come persona fisica, a collocarmi fiscalmente e retributivamente, ad individuarmi attraverso una codificazione dei miei dati, più o meno sensibili, e delle notizie relative al mio status quo. Io ho dato tutte le notizie richieste. Ogni anno io continuo a dare, grosso modo, sempre le stesse notizie in tutte le scuole in cui vado ad insegnare come se, ogni anno, io fossi un illustre sconosciuto. E invece no, ogni anno, anzi, ogni mese, in virtù di quelle notizie che io ho dato, continuano a pagarmi uno stipendio, a testimonianza che io ancora esisto, lavoro da qualche parte e i miei dati sono stati acquisiti a livello centrale. A me pare un inutile spreco di risorse, materiali e immateriali, ogni anno, continuare a riempire scartoffie, collocarle in carpettine che portano sopra il mio nome facendo finta (loro, io, tutti) che quei dati siano sempre nuovi e sempre diversi: non è così.
12/09/11
DOLCI IN CROCE
Si ricomincia, con una settimana di delay. Quest'anno sarò reperibile a Palermo, tra il Liceo Dolci e il Liceo Croce. L'unica interferenza che ho trovato sul web tra i due sta qui, non altro. Non tra i Licei, ma tra Danilo Dolci e Benedetto Croce. Insomma, ogni anno, per me, è sempre il primo giorno di scuola, ogni anno cambiano le strutture, i docenti, il personale, gli studenti. Non riesco a fermarmi il giusto tempo nello stesso posto (mi è capitato solo all'inizio di questa avventura) per affezionarmi a qualcuno, per curare una relazione professionale, per costruire cose: so di lasciare, ogni anno, o di esser lasciato e, per questo, so di dover ricominciare, ogni anno, daccapo. Nessun fil rouge, nessun legame. Questo vuol dire che faccio a tutti gli effetti il visiting prof., come nelle grandi università: che voglio di più? Per questo stamane mi sono presentato, ho firmato qualche carta, ho preso servizio, non ho salutato quasi nessuno (solo alcuni pirati che, come me, avevano trovato lì, per adesso, dei porti quasi sicuri), ho atteso una riunione, ho visto volti, ho ascoltato parole, ho atteso la fine dell'incontro... Sono tornato a casa.
02/09/11
MANIPOLAZIONI
Prendo dal sito isegretidellacasta.blogspot.com un testo di Noam Chomsky, che insegna al MIT. Il testo si può anche interpolare e sostituire i termini che interessano a quelli che vi sono più prossimi (docenti, studenti, dirigenti, etc)
Ecco come ci governano: le 10 strategie della manipolazione attraverso i massmedia
1-La strategia della distrazione
L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Mantenere l’attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza.
2- Creare problemi e poi offrire le soluzioni.
Questo metodo è anche chiamato “problema-reazione-soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3- La strategia della gradualità.
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni ‘80 e ‘90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.
4- La strategia del differire.
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.
5- Rivolgersi al pubblico come ai bambini.
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno” (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).
6- Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.
Sfruttate l'emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un'analisi razionale e, infine, il senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti.
7- Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.
Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori.
8- Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.
Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti ...
9- Rafforzare l’autocolpevolezza.
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s'incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!
10- Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono.
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.
Ecco come ci governano: le 10 strategie della manipolazione attraverso i massmedia
1-La strategia della distrazione
L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Mantenere l’attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza.
2- Creare problemi e poi offrire le soluzioni.
Questo metodo è anche chiamato “problema-reazione-soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3- La strategia della gradualità.
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni ‘80 e ‘90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.
4- La strategia del differire.
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.
5- Rivolgersi al pubblico come ai bambini.
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno” (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).
6- Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.
Sfruttate l'emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un'analisi razionale e, infine, il senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti.
7- Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.
Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori.
8- Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.
Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti ...
9- Rafforzare l’autocolpevolezza.
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s'incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!
10- Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono.
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.
31/08/11
IL DOCENTE DOPATO
L’argomento è tedioso e di poco interesse per cui si dispone indisposto per il target bloggarolo. Altresì, per molti aspetti, va raccontato, altrimenti non si comprende a quale grado di alterazione dei rapporti di forza è arrivata una certa amministrazione pubblica. Io sono un insegnante di secondaria superiore, ogni anno appronto un programma di storia dell’arte che cerco di svolgere in maniera disciplinata ma originale, per quel che posso e per quanto so. Purtroppo in Italia si studia sempre meno storia dell’arte e sempre più inglese, mentre i migliori libri di storia dell’arte italiana sono scritti da studiosi inglesi. Casi della vita! Ogni anno ogni insegnante di ogni scuola di ogni ordine e grado è costretto a compilare una domanda di trasferimento presso la medesima o altra scuola. Ripeto, trasferimento anche presso la stessa scuola: puro teatro dell’assurdo. Comunque, questa domanda da quest’anno è stata informatizzata a livello centrale e viene compilata direttamente su un format on line del Ministero. Bisogna registrarsi, attendere che la procedura di registrazione vada a buon fine, farsi dare l’ok dalla propria scuola e poi sarà possibile compilare la richiesta.
A me quest’anno è andata così: compilo la domanda ministeriale, chiedendo il trasferimento ad altra sede rispetto a quella in cui ho lavorato. Dopo qualche mese la mia sede di titolarità (la mia scuola) mi comunica che, nonostante io sia l’unico insegnante di storia dell’arte di quella sede, sono un “perdente posto”, cioè non si è formata una cattedra di insegnamento in quella disciplina per l’esiguità di ore di insegnamento disponibili: perdo il posto di insegnante pur essendo l’unico docente di quella disciplina (Ionesco non avrebbe potuto nemmeno immaginarla una cosa così). Ma, proprio per l’assurdità della situazione, questo è un elemento a mio favore, pensa tu. Ovvero, visto che sono “perdente posto” posso ricompilare una seconda domanda di trasferimento, anche non dissimile alla prima, che sostituisce la precedente e mi mette in una certa condizione di priorità rispetto ad altri. Traduco: la prima domanda era volontaria (cioè, apparentemente volontaria: mi si costringe a scegliere delle sedi mostrando la richiesta come una mia scelta), la seconda è legata ad un evento indipendente dalla mia volontà. E siccome sono “costretto” a cercare una nuova sede perché la mia scuola mi dice “il tuo posto non c’è più”, l’amministrazione scolastica centrale (pur rispettando altre priorità normative e sindacali) mi darà la chance del docente costretto a cercare una nuova sede perché formalmente “licenziato” dalla propria sede: sono in corsia d’emergenza.
Attendo, quindi, il responso. Il meccanismo, peggio delle matrioske, è piuttosto articolato, per non dire complicato. Bisogna, innanzitutto, attendere che tutte le scuole dispongano gli organici (quanti studenti, quante classi, quanti docenti) e li comunichino ai loro uffici provinciali. I dati vengono aggregati a livello provinciale, regionale, nazionale per rispondere alle eventuali richieste di trasferimento presso la propria sede, entro il proprio comune, entro la provincia, fuori provincia, fuori regione: le risposte arriveranno per cerchi concentrici, dal più vicino al più lontano. La roulette russa inizia a gennaio e si protrae fin dopo la fine della scuola, diciamo fino a giugno inoltrato. La risposta arriva, infine, subdola, così: “Gentile Insegnante - bla bla bla - L'esito che segue prospetta quanto elaborato dalle procedure automatiche del Sistema Informativo del Ministero alla data del 13 luglio ed è conforme alle informazioni riportate negli elenchi ufficiali pubblicati dagli Uffici Scolastici Regionali e Provinciali - ancora bla bla bla, e poi, su un vassoio di Limoges - Le comunichiamo che, per l'a.s. 2011/2012, ha ottenuto il Trasferimento d’ufficio presso la scuola PASS000XY6 - Dotazione organica provinciale di Palermo”.
La mia corsia preferenziale mi ha fatto, dunque, “ottenere” un trasferimento che non ho richiesto: pensate che fortuna! Non me l’aspettavo, ed eccolo lì il mio “trasferimento d’ufficio”. Qui il binomio Ionesco e Kafka avrebbe i favori della critica: ho ottenuto, non richiesto, un trasferimento d’ufficio. Dopotutto, chi richiederebbe, potendo scegliere, un trasferimento d’ufficio? Lapalisse sverrebbe. Ma non basta: il trasferimento ottenuto è presso una “dotazione organica provinciale”: cos’è? Su Wikipedia c’è scritto: “DOP o Dotazione organica provinciale: il docente viene assegnato di volta in volta per coprire eventuali assenze, come una sorta di supplente perenne”. In realtà la dotazione organica è una specie di area di parcheggio, un limbo o un pianerottolo intermedio su cui non si affacciano porte: i docenti “dopati” vengono collocati lì perché, nella sostanza, non ci sono posti che li possano accogliere, o non ancora. Aspettano, fischiettano, si guardano intorno, si sorridono tra di loro, si scambiano i silenzi e gli sbuffi, ma non sanno dove andare, e cosa fare: dop! Allora mi reco presso gli uffici provinciali a cui verrei trasferito d’ufficio, ottenendo quel che non ho richiesto. Dopo una coda nemmeno tanto lunga entro in una stanza in cui incontro, nientepopodimenoche, il signor Malaussene. Roba da non crederci, ma vi assicuro che era proprio lui. Stava lì, aspettava le domande, le critiche, le bordate di ogni genere, e poi annuiva, faceva spallucce, sospirava, diceva di sì con il capo, in automatico, dava ragione a tutti, e poi diceva meccanicamente “bisogna aspettare” e mi spiega in due parole che, manco a dirlo, questo trasferimento nel nulla apre ad ogni possibilità, heideggerianamente. Che culo! Ma-la-u-sse-ne, di fronte a me e nemmeno l’autografo gli ho chiesto.
Dieci giorni dopo, colpo di scena: non solo dop, la mia classe di concorso è in esubero. Riassumo: chiedo trasferimento “volontario”, sono “perdente posto”, richiedo trasferimento da perdente posto, entro in corsia preferenziale, ottengo un trasferimento d’ufficio in un posto che non ho richiesto e, prima del caffé, mi si dice che nel posto in cui sono stato trasferito sono di troppo, assieme a tanti altri. Wow! Devo assolutamente chiedere lumi a qualcuno, e allora torno nell’ufficio di Malaussene, deciso e preparato questa volta per chiedergli l’autografo. Sono un pugno di nervi al pensiero di reincontrarlo, ecco, è il mio turno, entro. Non c’è. Al suo posto una signora di mezza età che dà le risposte giuste a domande ben poste, o in alcuni casi corregge anche le domande. Da una parte sono deluso, dall’altra contento che ci sia qualcuno che abbia una reale competenza sull’argomento. Questa volta ho solo due possibilità che si chiamano: “utilizzazione” e “assegnazione provvisoria”. Cioè, non verrò trasferito ma utilizzato: mi balena l’immagine dell’utilizzatore finale del poeta padovano Ghedini, e penso a chi potrebbe utilizzarmi. Lasciamo perdere. Traggo, invece, dal web domande e risposte che diradano alcune foschie in merito: utilizzazione e assegnazione provvisoria permettono al docente di “trasferirsi” per un anno scolastico in altra scuola (anche di altra regione), mantenendo la titolarità nella sede di appartenenza. E poi, gli utilizzi precedono le assegnazioni, in quanto l’utilizzo deve garantire al docente la sistemazione per l’anno scolastico successivo, l’assegnazione no.
Questa volta è facile: richiedo utilizzazione vicino a casa, visto che lo scorso anno avevo ottenuto un trasferimento d’ufficio in una sede a 45 chilometri da casa. Deposito la mia domanda il 28 luglio e attendo il decreto ufficiale. Il 9 agosto vengono pubblicate le graduatorie relative a quella domanda, a occhio e croce ci sono più di 300 persone nelle mie stesse condizioni, in varie classi di concorso, e la stima è per difetto. 300 sul pianerottolo a fischiettare, sorridersi e annuire verso il nulla: in fondo in fondo, il varco delle Termopili. Tranne i giorni che vanno dal 13 al 15 agosto, il Centro dei Servizi Amministrativi di Palermo, da cui dipende l’ambaradan, ha pubblicato su internet, tolti sabati e domeniche, da una a sette informative sulla situazione dei posti per docenti dei vari gradi e personale scolastico ata e amministrativi: ovvero, un ufficio che, nel suo complesso, ha prodotto una certa mole di lavoro. Tranne che per i 300 di cui sopra. Finché, finalmente, ieri il capintesta Leone, dirigente generale dell’ufficio, si è esibito in un doppio salto mortale che dice così (testualmente): “Si comunica che il personale docente che ancora fosse in attesa di conoscere la sede di utilizzazione e/o di assegnazione provvisoria dovrà assumere servizio il giorno 1° settembre 2011 nella attuale sede di titolarità e/o di servizio (docenti senza sede, DOP e DOS)”, che, tradotto nello slang quotidiano, va letto così: “Quest’anno abbiamo scherzato, torna a lavorare dove stavi lo scorso anno: riprova, sarai più fortunato”. Non capisco la quadra: quella scuola mi ha detto che lì sono perdente posto e io torno a lavorare lì, in un luogo che non può darmi interamente il posto che mi spetterebbe? E poi, pur perdendoci, il posto non dovrebbe essere rivelato dalla graduatoria: altrimenti, che senso avrebbe aver perso del tempo per compilarla? A conti fatti, dunque, non ci ho capito nulla.
Non ho capito la domanda informatizzata, la graduatoria scolastica, la ridomanda, le verifiche, la collocazione dop, l’esubero del posto, la riridomanda, la graduatoria, il non lavoro dell’ufficio, la dichiarazione del dirigente, il ritorno ab origine. Mi pare un lavoro da pazzi, a perdere, giusto per far passare tempo e occupare in qualche modo il personale degli uffici: il termine del nostro tempo è “intrattenimento”. Se il trend è questo, però, ogni anno andrà sempre in scena la stessa farsa, con sempre meno pubblico e sempre più attori: e come faremo quando non si potrà far altro che riempire la sala con gli attori e il personale di scena? Mi pare che, in tal senso, non ci venga prospettata alcuna soluzione e che si vada a naso, senza strumenti, nella nebbia, sempre più fitta. Si cincischia, intanto, si perde tempo, si allestiscono Pof sempre più tergiversanti, si misurano le qualità organolettiche dei metodi di insegnamento con le Invalsi. Ma, di più, non ho capito che senso abbia tutta questa ammuìna che ogni anno si mette in scena: perché un’azienda enorme come la scuola ogni anno deve far cambiare personale alle proprie sedi (da che parte sta il vantaggio)? Perché bisogna ogni anno mostrare agli allievi di questa amministrazione pubblica metodi di studio, criteri di valutazione e insegnanti sempre diversi? Perché dopare l’ultima frontiera del pensiero pulito?
A me quest’anno è andata così: compilo la domanda ministeriale, chiedendo il trasferimento ad altra sede rispetto a quella in cui ho lavorato. Dopo qualche mese la mia sede di titolarità (la mia scuola) mi comunica che, nonostante io sia l’unico insegnante di storia dell’arte di quella sede, sono un “perdente posto”, cioè non si è formata una cattedra di insegnamento in quella disciplina per l’esiguità di ore di insegnamento disponibili: perdo il posto di insegnante pur essendo l’unico docente di quella disciplina (Ionesco non avrebbe potuto nemmeno immaginarla una cosa così). Ma, proprio per l’assurdità della situazione, questo è un elemento a mio favore, pensa tu. Ovvero, visto che sono “perdente posto” posso ricompilare una seconda domanda di trasferimento, anche non dissimile alla prima, che sostituisce la precedente e mi mette in una certa condizione di priorità rispetto ad altri. Traduco: la prima domanda era volontaria (cioè, apparentemente volontaria: mi si costringe a scegliere delle sedi mostrando la richiesta come una mia scelta), la seconda è legata ad un evento indipendente dalla mia volontà. E siccome sono “costretto” a cercare una nuova sede perché la mia scuola mi dice “il tuo posto non c’è più”, l’amministrazione scolastica centrale (pur rispettando altre priorità normative e sindacali) mi darà la chance del docente costretto a cercare una nuova sede perché formalmente “licenziato” dalla propria sede: sono in corsia d’emergenza.
Attendo, quindi, il responso. Il meccanismo, peggio delle matrioske, è piuttosto articolato, per non dire complicato. Bisogna, innanzitutto, attendere che tutte le scuole dispongano gli organici (quanti studenti, quante classi, quanti docenti) e li comunichino ai loro uffici provinciali. I dati vengono aggregati a livello provinciale, regionale, nazionale per rispondere alle eventuali richieste di trasferimento presso la propria sede, entro il proprio comune, entro la provincia, fuori provincia, fuori regione: le risposte arriveranno per cerchi concentrici, dal più vicino al più lontano. La roulette russa inizia a gennaio e si protrae fin dopo la fine della scuola, diciamo fino a giugno inoltrato. La risposta arriva, infine, subdola, così: “Gentile Insegnante - bla bla bla - L'esito che segue prospetta quanto elaborato dalle procedure automatiche del Sistema Informativo del Ministero alla data del 13 luglio ed è conforme alle informazioni riportate negli elenchi ufficiali pubblicati dagli Uffici Scolastici Regionali e Provinciali - ancora bla bla bla, e poi, su un vassoio di Limoges - Le comunichiamo che, per l'a.s. 2011/2012, ha ottenuto il Trasferimento d’ufficio presso la scuola PASS000XY6 - Dotazione organica provinciale di Palermo”.
La mia corsia preferenziale mi ha fatto, dunque, “ottenere” un trasferimento che non ho richiesto: pensate che fortuna! Non me l’aspettavo, ed eccolo lì il mio “trasferimento d’ufficio”. Qui il binomio Ionesco e Kafka avrebbe i favori della critica: ho ottenuto, non richiesto, un trasferimento d’ufficio. Dopotutto, chi richiederebbe, potendo scegliere, un trasferimento d’ufficio? Lapalisse sverrebbe. Ma non basta: il trasferimento ottenuto è presso una “dotazione organica provinciale”: cos’è? Su Wikipedia c’è scritto: “DOP o Dotazione organica provinciale: il docente viene assegnato di volta in volta per coprire eventuali assenze, come una sorta di supplente perenne”. In realtà la dotazione organica è una specie di area di parcheggio, un limbo o un pianerottolo intermedio su cui non si affacciano porte: i docenti “dopati” vengono collocati lì perché, nella sostanza, non ci sono posti che li possano accogliere, o non ancora. Aspettano, fischiettano, si guardano intorno, si sorridono tra di loro, si scambiano i silenzi e gli sbuffi, ma non sanno dove andare, e cosa fare: dop! Allora mi reco presso gli uffici provinciali a cui verrei trasferito d’ufficio, ottenendo quel che non ho richiesto. Dopo una coda nemmeno tanto lunga entro in una stanza in cui incontro, nientepopodimenoche, il signor Malaussene. Roba da non crederci, ma vi assicuro che era proprio lui. Stava lì, aspettava le domande, le critiche, le bordate di ogni genere, e poi annuiva, faceva spallucce, sospirava, diceva di sì con il capo, in automatico, dava ragione a tutti, e poi diceva meccanicamente “bisogna aspettare” e mi spiega in due parole che, manco a dirlo, questo trasferimento nel nulla apre ad ogni possibilità, heideggerianamente. Che culo! Ma-la-u-sse-ne, di fronte a me e nemmeno l’autografo gli ho chiesto.
Dieci giorni dopo, colpo di scena: non solo dop, la mia classe di concorso è in esubero. Riassumo: chiedo trasferimento “volontario”, sono “perdente posto”, richiedo trasferimento da perdente posto, entro in corsia preferenziale, ottengo un trasferimento d’ufficio in un posto che non ho richiesto e, prima del caffé, mi si dice che nel posto in cui sono stato trasferito sono di troppo, assieme a tanti altri. Wow! Devo assolutamente chiedere lumi a qualcuno, e allora torno nell’ufficio di Malaussene, deciso e preparato questa volta per chiedergli l’autografo. Sono un pugno di nervi al pensiero di reincontrarlo, ecco, è il mio turno, entro. Non c’è. Al suo posto una signora di mezza età che dà le risposte giuste a domande ben poste, o in alcuni casi corregge anche le domande. Da una parte sono deluso, dall’altra contento che ci sia qualcuno che abbia una reale competenza sull’argomento. Questa volta ho solo due possibilità che si chiamano: “utilizzazione” e “assegnazione provvisoria”. Cioè, non verrò trasferito ma utilizzato: mi balena l’immagine dell’utilizzatore finale del poeta padovano Ghedini, e penso a chi potrebbe utilizzarmi. Lasciamo perdere. Traggo, invece, dal web domande e risposte che diradano alcune foschie in merito: utilizzazione e assegnazione provvisoria permettono al docente di “trasferirsi” per un anno scolastico in altra scuola (anche di altra regione), mantenendo la titolarità nella sede di appartenenza. E poi, gli utilizzi precedono le assegnazioni, in quanto l’utilizzo deve garantire al docente la sistemazione per l’anno scolastico successivo, l’assegnazione no.
Questa volta è facile: richiedo utilizzazione vicino a casa, visto che lo scorso anno avevo ottenuto un trasferimento d’ufficio in una sede a 45 chilometri da casa. Deposito la mia domanda il 28 luglio e attendo il decreto ufficiale. Il 9 agosto vengono pubblicate le graduatorie relative a quella domanda, a occhio e croce ci sono più di 300 persone nelle mie stesse condizioni, in varie classi di concorso, e la stima è per difetto. 300 sul pianerottolo a fischiettare, sorridersi e annuire verso il nulla: in fondo in fondo, il varco delle Termopili. Tranne i giorni che vanno dal 13 al 15 agosto, il Centro dei Servizi Amministrativi di Palermo, da cui dipende l’ambaradan, ha pubblicato su internet, tolti sabati e domeniche, da una a sette informative sulla situazione dei posti per docenti dei vari gradi e personale scolastico ata e amministrativi: ovvero, un ufficio che, nel suo complesso, ha prodotto una certa mole di lavoro. Tranne che per i 300 di cui sopra. Finché, finalmente, ieri il capintesta Leone, dirigente generale dell’ufficio, si è esibito in un doppio salto mortale che dice così (testualmente): “Si comunica che il personale docente che ancora fosse in attesa di conoscere la sede di utilizzazione e/o di assegnazione provvisoria dovrà assumere servizio il giorno 1° settembre 2011 nella attuale sede di titolarità e/o di servizio (docenti senza sede, DOP e DOS)”, che, tradotto nello slang quotidiano, va letto così: “Quest’anno abbiamo scherzato, torna a lavorare dove stavi lo scorso anno: riprova, sarai più fortunato”. Non capisco la quadra: quella scuola mi ha detto che lì sono perdente posto e io torno a lavorare lì, in un luogo che non può darmi interamente il posto che mi spetterebbe? E poi, pur perdendoci, il posto non dovrebbe essere rivelato dalla graduatoria: altrimenti, che senso avrebbe aver perso del tempo per compilarla? A conti fatti, dunque, non ci ho capito nulla.
Non ho capito la domanda informatizzata, la graduatoria scolastica, la ridomanda, le verifiche, la collocazione dop, l’esubero del posto, la riridomanda, la graduatoria, il non lavoro dell’ufficio, la dichiarazione del dirigente, il ritorno ab origine. Mi pare un lavoro da pazzi, a perdere, giusto per far passare tempo e occupare in qualche modo il personale degli uffici: il termine del nostro tempo è “intrattenimento”. Se il trend è questo, però, ogni anno andrà sempre in scena la stessa farsa, con sempre meno pubblico e sempre più attori: e come faremo quando non si potrà far altro che riempire la sala con gli attori e il personale di scena? Mi pare che, in tal senso, non ci venga prospettata alcuna soluzione e che si vada a naso, senza strumenti, nella nebbia, sempre più fitta. Si cincischia, intanto, si perde tempo, si allestiscono Pof sempre più tergiversanti, si misurano le qualità organolettiche dei metodi di insegnamento con le Invalsi. Ma, di più, non ho capito che senso abbia tutta questa ammuìna che ogni anno si mette in scena: perché un’azienda enorme come la scuola ogni anno deve far cambiare personale alle proprie sedi (da che parte sta il vantaggio)? Perché bisogna ogni anno mostrare agli allievi di questa amministrazione pubblica metodi di studio, criteri di valutazione e insegnanti sempre diversi? Perché dopare l’ultima frontiera del pensiero pulito?
11/02/11
TAGGHIA CA TAGGHIA
Al commento ricevuto su Debacle del Commissario si deve una risposta. Quando ero ragazzo ricordo che ci si trovava tutti gli amici su una panchina precisa, gialla, specialmente d'estate, da cui partivano racconti, proposte, idee, speranze, sogni, scazzi, amori, eccetera. Quella panchina era il nostro social network. Col passare degli anni la panchina cambiava utenze, io e i miei amici eravamo diversi, crescevamo, facevamo altro, spesso ognuno per sé. Quando una sera di settembre, ricordo, su quella panchina ci ritrovammo in due, anziché in quindici/sedici, capimmo che era passato un sacco di tempo dalla prima volta, dalla volta che collocarono in quel posto quella panchina con vista mare. Io e i miei amici siamo stati i primi a sederci, qualche ora dopo che la panchina era stata messa lì. Probabilmente anche gli ultimi. Ora è stata sostituita con una panca senza schienale in cemento rosa. Tutto qui.
29/09/10
Scrive Saviano
"Nella società del gossip si viene colpiti uno per volta, e noi siamo spettatori spesso incapaci di decodificare gli interessi costituiti che stanno dietro l'operazione, i mandanti, il movente.
Eppure la questione riguarda tutti, perché mentre la macchina infanga una persona denudandola in una sua debolezza e colpendola nel suo isolamento, parla agli altri, sussurrando il messaggio peggiore, antipolitico per eccellenza: siamo tutti uguali, dice questo messaggio, non alzare la testa, non cercare speranze, perché siamo tutti sporchi e tutti abbiamo qualcosa da nascondere. Dunque abbassa lo sguardo, ritraiti, rinuncia.
Come si può spezzare questo meccanismo infernale, pericoloso per la democrazia, e non solo per le singole persone coinvolte? L'antidoto è in noi, in noi lettori, spettatori e cittadini, se preserviamo la nostra autonomia culturale, se recuperiamo la nostra capacità di giudizio.
L'antidoto è nel non recepire il pettegolezzo, nel non riproporlo, nel non reiterarlo. Nel capire che ci si sta servendo di noi, dei nostri occhi, delle nostre bocche come megafoni di pensieri che non sono i nostri. Nel non passare, come fanno molti addetti ai lavori, le loro giornate su siti di gossip che mentono a pagamento, che costruiscono con tono scherzoso la delegittimazione, che usano informazioni personali soltanto per metterti in difficoltà.
È il metodo dei vecchi regimi comunisti, delle tirannie dei paesi socialisti che volevano far passare i dissidenti per viziosi, ladri, nullafacenti, gentaglia che si opponeva solo per basso interesse. Mai come nell'Italia di oggi si trova realizzato nuovamente, anche se con metodi differenti, quel meccanismo delegittimante."
Eppure la questione riguarda tutti, perché mentre la macchina infanga una persona denudandola in una sua debolezza e colpendola nel suo isolamento, parla agli altri, sussurrando il messaggio peggiore, antipolitico per eccellenza: siamo tutti uguali, dice questo messaggio, non alzare la testa, non cercare speranze, perché siamo tutti sporchi e tutti abbiamo qualcosa da nascondere. Dunque abbassa lo sguardo, ritraiti, rinuncia.
Come si può spezzare questo meccanismo infernale, pericoloso per la democrazia, e non solo per le singole persone coinvolte? L'antidoto è in noi, in noi lettori, spettatori e cittadini, se preserviamo la nostra autonomia culturale, se recuperiamo la nostra capacità di giudizio.
L'antidoto è nel non recepire il pettegolezzo, nel non riproporlo, nel non reiterarlo. Nel capire che ci si sta servendo di noi, dei nostri occhi, delle nostre bocche come megafoni di pensieri che non sono i nostri. Nel non passare, come fanno molti addetti ai lavori, le loro giornate su siti di gossip che mentono a pagamento, che costruiscono con tono scherzoso la delegittimazione, che usano informazioni personali soltanto per metterti in difficoltà.
È il metodo dei vecchi regimi comunisti, delle tirannie dei paesi socialisti che volevano far passare i dissidenti per viziosi, ladri, nullafacenti, gentaglia che si opponeva solo per basso interesse. Mai come nell'Italia di oggi si trova realizzato nuovamente, anche se con metodi differenti, quel meccanismo delegittimante."
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02/07/10
LA DEBACLE DEL COMMISSARIO
Sembra il titolo di un libro di Camilleri, forse ce l'ha nel cassetto e io ho solo svelato il titolo. Tre anni fa ho fatto parte di una commissione all'esame di stato di un liceo scientifico, commissario esterno. La commissione è composta così da quando me la ricordo io: tre esterni, tre interni, più il presidente (esterno super partes). Tre anni fa, in occasione dello scritto di matematica, scrissi un post su questo blog in cui esprimevo ampie titubanze su quella prova. Tre anni fa. Poi ci sono state le prove orali, e la mia titubanza divenne abissale. Sono passati tre anni, ora sono commissario interno. Dopo due giorni prospetto una debacle, proprio così. Cos'è una debacle? Per non farmi fregare dall'imprecisione ho rispolverato il mio Robert & Signorelli che riporta due significati: 1. debacle sta per "disfatta", oppure anche "crollo" o "tracollo"; 2. debacle è anche la "rupture de la couche de glace au moment du dégel", immagine fantastica che suggerisce il "disgelo" o la "rottura dei ghiacci". Mi pare una immagine chiara della debacle. Ora, nel caso che vivo adesso, a causa della "beata innocenza" di ragazzi che partecipano ad una "prova di posizione" in una comunità (l'esame di maturità che, a ben vedere, dovrebbe dimostrare altro che l'esegesi enciclopedica dei candidati) in maniera blanda, quando non demenziale, mi sento sprofondare i ghiacci sotto i piedi ogni volta che qualcuno di loro si assenta da se stesso. Ora sto dalla parte del torto, dalla parte di chi si è preso (o si è dovuto prendere) la responsabilità di sostenere l'identità di un gruppo. Certo, ma quali sono oggi i valori identitari di un gruppo, di una classe, di una comunità? E, soprattutto, attraverso quale vaglio, quale setaccio, li si riconosce?
29/06/10
LA RESPONSABILITA' DEL WIKIPEDISTA
Sarò ripetitivo, logorroico nelle precisazioni, ma è necessario che io lo faccia, a memoria futura. Oggi, nel momento in cui scrivo, è il 29 giugno 2010. Altrove si potrà leggere che è il 29/06/2010, o il 29/giu/2010: voglio assicurare tutti che è la medesima cosa. Ho appreso che è morto Pietro Taricone, era uno che mi stava simpatico. "Pietro Taricone (Frosinone, 4 febbraio 1975 – Terni, 29 giugno 2010) è stato un attore e personaggio televisivo italiano." Il virgolettato dice proprio quello che c'è scritto. Oggi, 29/06/2010, i quotidiani stampati titolavano che Taricone era in fin di vita, quelli sul web, invece, hanno dovuto, per dovere di cronaca, aggiornare la notizia. La notizia è questa: Pietro Taricone è morto. Questa è la notizia del 29 giugno 2010. Tornando a casa ho cercato "Taricone incidente" su Google e, per essere precisi, ho dato l'avvio alla ricerca 65 minuti fa, alle ore 11e40 (un breve calcolo consente di capire che ora sono le 12e45) e su Wikipedia si poteva leggere "Pietro Taricone (Frosinone, 4 febbraio 1975) attore e personaggio televisivo italiano." Talvolta ho l'impressione di abitare il bordo delle cose, per cui la realtà (quella che si percepisce coi sensi) mi sta stretta. Dunque, profilo di Wikipedia alle 12e45. Torno su Google, scandaglio altre news, leggo Il Messaggero, L'Unità, La Repubblica. Ritorno su Google e noto che Wikipedia aveva cambiato qualcosa (basta leggere i tempi dell'aggiornamento): "Pietro Taricone (Frosinone, 4 febbraio 1975 – Terni, 29 giugno 2010) è stato un attore e personaggio televisivo italiano." Oddìo. Lui, il wikipedista, era entrato in azione. Wikipedia non è un giornale ma, di più, è il luogo labile in cui centinaia di persone "aggiornano" continuamente quello che la realtà fa scorrere dinanzi ai nostri occhi. Se la notizia arriva su Wikipedia diventa un fatto storico, una dato avvenuto, accertato. Non solo, la storia viene documentata, e rimane lì, in tempo quasi reale. Ma non è questo quello che intendo scrivere: è, piuttosto, come se il wikipedista fosse responsabile delle cose che accadono e se ne fa carico per fare in modo che il dato storico sia esatto, coincida con la realtà delle cose.
Ho apprezzato Pietro Taricone a "Parla con me" e nelle poche puntate di "Tutti pazzi per amore" che Bianca mi ha consigliato di vedere. Ma di più nella lettura surreale di notizie in "Niente di personale", come se quello fosse lo spazio reale in cui le notizie, marginalmente, potessero far notizia. Ma questo, il mio personale apprezzamento per l'individuo, il wikipedista non lo inserirà perché il suo ruolo è asettico, impersonale, oggettivo. Lui non entra nella notizia, ma la osserva da lontano: vi si affaccia dentro e descrive, ma non si tuffa nel cuore delle cose. Niente salto nel vuoto, Taricone sì.
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