30/05/09

TUTTO SCORRE



La sede succursale dell'Istituto ha svolto in buon ordine, con una tempistica eccellente e in maniera scorrevole, l'esercitazione di evacuazione dall'edificio (effettuata ai sensi del Testo Unico 81/08) in maniera che gli studenti sappiano, per il prosieguo dell'anno, in che maniera, in caso di calamità, ci si debba comportare per evacuare l'edificio. Applausi. Tutti contenti e coi sorrisi a 180 gradi. Nel frattempo ci si avvia allegramente verso gli scrutini, le prove d'esame e l'organizzazione delle aule per gli esami di stato, come in tutt'Italia. All'atto di questo post il dirigente scolastico sverna su un'isola e gli istituti attendono miracoli qualitativi. Insomma, che dire, le amenità della vita sollecitano i nostri desideri di serenità, di quiete, di felicità. L'estate è alle porte, direbbero i romantici.

Pochi sanno, ma la trasparenza è un lusso per pochi, che, a proposito della serenità che necessita per lavorare bene in un edificio scolastico, in una nota del 27 gennaio scorso (prot. 0000705) il dirigente scolastico chiedeva agli uffici della Provincia Regionale di Palermo, settore Patrimonio (Via Maqueda 100), alla buon'ora e dopo qualche anno dall'uso (sconsiderato, n.d.r.) degli edifici stessi, per entrambe i plessi, sia il certificato di agibilità e destinazione d'uso che il certificato di prevenzione incendi, sino a quel momento non facenti parte della documentazione "normale" della scuola.

Pensate, non se ne sono mai accorti. Nessuno. Cose che possono capitare! Già.

Quasi nessuno sa, invece (but not least), che dentro il plesso di Viale Michelangelo c'è una canna fumaria in eternit, o amianto, (materiale che causa l'asbestosi, il mesotelioma e aumenta di 5 volte il rischio di carcinoma polmonare nei fumatori) e le macchine di condizionamento di entrambe i plessi hanno "lavorato" emettendo il gas Freon R22 (sostanza lesiva della fascia di ozono). La questione dell'amianto è nota, meno noto è il fatto che a scuola (e in tutti i locali aperti al pubblico) viga una norma per la tutela della salute dei non fumatori che, infatti, non è tenuta in alcuna considerazione essendo i preposti alla funzione di ampia tolleranza nei confronti dei fumatori stessi (ci si limita, nei casi peggiori, ad un blando monito visivo accompagnato da un sorrisetto sculacciatore).

La questione del gas per il condizionamento è diversa (mi si scusi la divagazione normativa, che potrà essere utile ad altri in futuro): la legge 549/93, all'art. 3, effettivamente fissa al 31 dicembre 2008 la data di cessazione dell'utilizzo dell'R22. Tale legge, però, è stata modificata dalla legge 179 del 1997 che, all'art. 2, modifica l'art. 3 della legge 549 assegnando priorità alle disposizioni del Regolamento CE 3093/94 in materia di eliminazione dei fluidi HCFC. Con tale atto l'Italia ha recepito le disposizioni dell'Unione Europea in materia di tutela ambientale. A sua volta il Regolamento CE 3093/94 è stato abrogato dal Regolamento 2037/00, che, appunto, fissa la dismissione dell'R22 vergine a partire dal 1 gennaio 2010 per quanto riguarda le operazioni di manutenzione degli impianti.

Consigli d'Istituto ce ne sono stati (ma sono, dati alla mano, vicari degli indirizzi economici o soltanto avallatori di orientamenti culturali da camera caritatis) e anche Collegi Docenti. Si sono riunite varie Commissioni e diversi Collegi sindacali. Ma nulla è trapelato, per non seminare il panico. Cosa volete che sia un poco d'amianto in più? Non è solo questo. Il rispetto delle norme è un atto oggettivo, uguale per tutti e per tutti doveroso. Per tutte le norme. La scuola in generale e questo istituto in particolare ha intrapreso percorsi a favore della legalità, per suggerire ai ragazzi percorsi di legalità e far riconoscere la differenza tra varie norme e loro applicazioni. Ma non si può insegnare il rispetto delle norme e poi indulgere in favore di chi si disimpegna dinanzi al rispetto di alcune regole elementari.

Vige una norma che tutela il diritto alla salute dei non fumatori? Il dirigente scolastico e il direttore amministrativo dovrebbero essere esempi, per gli studenti e per il personale, da seguire. E invece non è stato così. Esiste una circolare del Ministero Pubblica Istruzione che invita i docenti e gli studenti a non utilizzare il telefono cellulare a scuola? Esiste. Chi rispetta tale indicazione? Né docenti né studenti. E con quali motivazioni si andranno a chiedere soldi per finanziare progetti scolastici per favorire processi di legalità? Il docente che si troverà in busta paga un supplemento relativo allo svolgimento di corsi di tal fatta, però, sarà certo di avere svolto bene il proprio lavoro, pur sapendo di aver nicchiato dinanzi alla sigaretta del dirigente scolastico o al cellulare che il docente ha usato in classe.

Però, come si sa, tutto scorre, sempre, nel migliore dei modi.

25/05/09

E ADESSO DENUNCIATECI TUTTI!

Ribadisco quanto espresso nel precedente post riportando, a firma di Mila Spicola, un altro commento ai gravissimi avvenimenti del 23 maggio. Lo faccio anche perché l'Istituto che frequento, da insegnante, si bea di un placido letargo come se fuori non accadesse nulla. Dove altrove un incidente crea un crash, qui si sente un semplice pluf. Lo abbiamo già denunciato in un post invernale: ma nulla, zitti e mosca!

"Ieri al corteo a Palermo in memoria della strage di Capaci, alcuni di noi insegnanti avevano degli striscioni, il mio gruppo era defilato, un po’ in fondo, con lo striscione del tipo l'antimafia inizia dalla cultura di qualità, io avevo una maglietta con scritto contro la mafia bastano 100 bravi maestri, più avanti c'erano alcuni colleghi del sindacato COBAS scuola con uno striscione quanto mai vero e quanto mai condiviso: La mafia ringrazia lo Stato per la morte della scuola. Bene: questi ultimi sono stati accerchiati dagli agenti della DIGOS, gli è stato intimato di toglier via lo striscione e quando, democraticamente si sono opposti, sono stati strattonati, quattro di loro accompagnati in questura dagli agenti e denunciati per vilipendio allo stato, resistenza a pubblico ufficiale e manifestazione non autorizzata. Pietro Milazzo, sindacalista palermitano, che era vicino a loro, porta segni di graffi sulle braccia, provocati dalla colluttazione...

E allora io vi chiedo: chi offende di più lo Stato, lo calpesta e lo dimentica? Quei 42.000 insegnanti e tutto il mondo della scuola che con loro ha assistito sgomento a tutto ciò - allo sfascio della scuola, nella quale i presidi non hanno più soldi nemmeno per la carta igienica... altro che toner o fotocopie - o quel ministro?
E quando vengo a sapere che l'affitto pagato dal Comune di Palermo per adibire a scuola la mia scuola - un ex magazzino che è scuola da 40 anni, senza mai aver avuto uno straccio di manutenzione, né ordinaria, né straordinaria, fino allo scorso anno e solo in seguito alle minacce di chiusura della dirigente - ammontano a 240.000 euro annui, quei tagli, i tagli che colpiscono i ragazzi in primis, di più, i ragazzi siciliani, che valore assumono? Che coerenza hanno? Se non ci sono soldi in una famiglia si inizia col tagliare le spese per la scuola dei propri figli o le crociere? E non vi pare un’atmosfera da crociera quella che viene promossa dal governo Berlusconi su questa nave che è l’Italia che affonda ogni giorno di più verso il degrado culturale e etico?

E noi dovremmo stare zitti? Appendere le cetre ai salici? Noi insegnanti? Ma siamo matti? Queste cose non dovrebbero ribadirle da un palco come quello di ieri le personalità che erano presenti? E invece, vergogna, vengono denunciati e fermati degli insegnanti che non stavano facendo altro che il loro dovere: pretendere una scuola di qualità, difendere un ruolo non per se stessi soltanto, ma per un idea di cultura e di paese di cui non vergognarsi, da trasmettere.
Chi deve essere denunciato per vilipendio allo Stato e alla Costituzione?
Io sono con loro, e molti insieme a me. Denunciateci.
Denunciateci tutti perché siamo convinti profondamente che la "mafia ringrazia questo stato, questi governanti, per la morte della scuola".
Perché si può morire di mafia, ma si muore anche d’ignoranza.

Mila Spicola

LA MAFIA RINGRAZIA LO STATO PER LA MORTE DELLA SCUOLA

Sralcio sul nostro blog una notizia di certa gravità. Viene da Repubblica Palermo e riguarda un grave atto di "offesa" all'intelligenza delle persone che hanno partecipato alla manifestazione del 23 maggio scorso, in ricordo delle stragi di mafia. Chi legge uno striscione, qualunque cosa vi sia scritto sopra, sa discriminare e qualora si senta profondamente offeso da quello che vi è scritto sopra intraprende quella che Vonnegut chiamava "la semplice arte del dialogo". E invece no. A Palermo è accaduto altro, che si allinea a simili manifestazioni di intolleranza equamente distribuite sul territorio nazionale.

"A Palermo, sabato 23 maggio, durante la commemorazione del diciassettesimo anniversario della strage di Capaci, davanti all’albero Falcone in via Notarbartolo, alcuni agenti di polizia hanno fermato e trasferito in questura tre lavoratori dei Cobas che esponevano uno striscione presente da anni in tutte le manifestazioni antimafia, con la scritta LA MAFIA RINGRAZIA LO STATO PER LA MORTE DELLA SCUOLA. Uno slogan -secondo quanto riferito in un comunicato dei COBAS- che evidentemente vuole sottolineare come la lotta alla mafia deve essere condotta, oltre che sul livello repressivo, anche su quello del miglioramento delle condizioni socioeconomiche di una larga parte di popolazione che diviene il bacino di arruolamento e di consenso all'agire malavitoso. Da questo assunto la necessità di un intervento dello Stato verso la garanzia di dignitose condizioni di vita per tutti i cittadini da garantire con un'offerta di servizi sociali (scuola, sanità, trasporti, ecc.), di lavoro o di un reddito minimo garantito”.

"I tre rappresentanti dei COBAS accompagnati in questura nel pomeriggio di sabato 23 maggio sono stati denunciati per vilipendio allo Stato, resistenza a pubblico ufficiale e per manifestazione non autorizzata, mentre altri gruppi che esponevano striscioni contro i depistaggi nelle inchieste sulle stragi di mafia, o contro il pacchetto sicurezza e le misure annunciate contro i migranti, potevano continuare ad esporre i loro striscioni fino alla fine della manifestazione. Evidentemente lo striscione dei COBAS toccava un nervo scoperto degli organizzatori e dei rappresentanti istituzionali, dopo che nella mattinata, caratterizzata da frequenti richiami al nesso tra la scuola e la legalità, diversi ministri tra i quali Maroni e la Gelmini avevano caratterizzato con la loro presenza le manifestazioni ufficiali, alla presenza del Capo dello Stato. Sembrerebbe che l’invito a far ritirare lo striscione dei COBAS sia pervenuto alla polizia dall’associazione della sorella del giudice Falcone, che aveva richiesto le autorizzazioni per la manifestazione. Una manifestazione che non era soltanto commemorativa, neppure nelle intenzioni degli organizzatori, e che è stata ritenuta, da qualcuno, come appannaggio esclusivo di chi la aveva promossa, puntando proprio sul tema della legalità e della scuola, come confermato dalla presenza organizzata di centinaia di giovanissimi studenti fatti arrivare da diverse parti d’Italia."

"La memoria delle vittime della mafia, nel doveroso rispetto del dolore dei congiunti delle vittime, non appartiene a gruppi privati ma fa parte della memoria collettiva di tutti i cittadini palermitani, che in passato hanno partecipato, a centinaia di migliaia, alle diverse manifestazioni antimafia con striscioni ben più determinati contro la presenza della mafia e dei suoi favoreggiatori nelle istituzioni. Anche quando negli anni ’90 si erano attaccati i vertici della polizia e dei servizi segreti. Basterà scorrere i giornali ed i libri di storia per verificare come in passato, durante le manifestazioni in onore dei giudici uccisi e delle loro scorte, gli striscioni erano ancora più polemici nei confronti delle istituzioni e dello stato, di quello esposto ieri dai rappresentanti dei Cobas."

"Qualcuno, piuttosto che puntare il dito contro chi esprime un legittimo dissenso, dovrebbe interrogarsi perché oggi alle manifestazioni antimafia partecipano esclusivamente i rappresentanti istituzionali, gli addetti ai lavori e le loro scorte, e solo alcuni soggetti sociali come gli alunni delle scuole specificamente invitati ed organizzati. E’ venuta meno la partecipazione spontanea dei cittadini, e quando questa si esprime sembra non trovare spazio per esprimere il proprio dissenso. La presenza pacifica di un piccolo gruppo di manifestanti, sotto uno striscione non gradito agli organizzatori, è bastata a fare contestare i reati di manifestazione non organizzata e di vilipendio allo Stato, come se esprimere il proprio diritto di critica verso chi vorrebbe gestire le istituzioni dello stato come una azienda privata, attaccando la indipendenza della magistratura, la libertà di informazione e i diritti di libertà per imporre politiche antisociali nella scuola, nel mondo del lavoro e in tutti gli altri comparti della nostra società, potesse diventare un fatto penalmente perseguibile a discrezione di qualche associazione o di alcuni agenti di polizia."

"Appare evidente come si sia voluto difendere in questo modo la trasformazione della manifestazione del 23 maggio in una parata ufficiale, reprimendo pacifiche manifestazioni di dissenso sociale che denunciano, proprio nel settore dell’istruzione, le scelte tendenti alla privatizzazione come un regalo alle mafie che alimentano il proprio consenso sulla ignoranza e sul cattivo funzionamento della scuola pubblica, mentre i figli dei ceti più abbienti, e della borghesia para-mafiosa, possono studiare nelle scuole private ed anche all’estero. Il processo di privatizzazione, condannando al dissesto la scuola pubblica, abbatte uno degli argini più importanti che in questi anni sono stati alzati con uno sforzo enorme da migliaia di insegnanti, in gran parte precari, che, quartiere per quartiere, si sono battuti contro la mafiosità quotidiana. Una battaglia che è stata anche la battaglia degli esponenti dei COBAS fermati dalla polizia, condotti in questura e denunciati per gravi reati, solo perché volevano manifestare con uno striscione richiamandosi a questa loro, e nostra, battaglia quotidiana contro la mentalità mafiosa e l’aperto consenso verso la mafia che dilaga, come confermano recenti inchieste, nelle scuole di ogni ordine e grado."

"La riduzione del numero delle classi, l’aumento degli alunni per ciascuna classe e il licenziamento di quasi sessantamila insegnati, come hanno denunciato i COBAS, dequalifica la scuola, crea disagio sociale e dà elementi alla mafia per conquistare i giovani emarginati del meridione. Questo messaggio, riassunto nella frase contenuta nello striscione incriminato, non è stato ritenuto tollerabile da chi ha impartito l’ordine di sequestrare lo striscione e di fermare i tre lavoratori della scuola che lo sostenevano, accusati addirittura di avere organizzato una manifestazione non autorizzata all’interno della manifestazione commemorativa del giudice Falcone, della moglie e degli agenti della scorta. Come se esporre uno striscione non gradito agli organizzatori configurasse automaticamente la violazione del divieto di manifestazione non autorizzata. Una concezione assai preoccupante della democrazia e dell’ordine pubblico."

"Quanto successo a Palermo costituisce una conferma ulteriore, se mai ve ne fosse ancora bisogno, della svolta autoritaria in corso in Italia, come confermato anche dalle norme contenute nel recente disegno di legge sulla sicurezza, che precarizza i migranti, ma colpisce anche direttamente tutte le fasce più deboli della popolazione italiana, con la nuova normativa sulla residenza e la idoneità degli alloggi. Si tende a criminalizzare non solo gli immigrati irregolari ma anche tutte le aree del dissenso sociale. Si reintroduce il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, un reato tipico del codice penale fascista, dopo che era stato abrogato, anche per effetto di sentenze della Corte Costituzionale, e lo si prevede con una sanzione ancora più grave di quella stabilita in precedenza con la reclusione fino a tre anni. Un ipotesi che, come osservano gli studiosi (Cognini) verrà usata facilmente dentro contesti di conflittualità sociale che si possono determinare nei prossimi mesi. La stessa cosa possiamo dire anche in riferimento agli aggravamenti che riguardano il reato di danneggiamento, che andranno quindi a colpire comportamenti sociali diffusi, cose di scarsissimo allarme sociale come possono essere la semplice scritta o il disegno su un muro, che non rappresenta certo pericolosità e non configura nessun elemento di rischio, ma che viene punito pesantemente proprio per quello che rappresenta il gesto, per il significato o il contenuto di una scritta. Lo stesso vale per l’imbrattamento o il deturpamento."

"Un altro aspetto di forte preoccupazione, che si sottolinea, riguarda poi una specifica aggravante che verrà contestata a chi commette un reato con la partecipazione di soggetti minorenni. In precedenza l’aggravante riguardava il fatto di commettere un reato avvalendosi di minori e quindi presupponeva un comportamento attivo, l’utilizzo di un minorenne. Questa parte viene modificata e l’aggravante diventa il solo fatto che il reato venga commesso in un contesto in cui sono presenti soggetti minorenni. E questo non ha nulla a che vedere con una maggiore tutela, ovviamente legittima, dei minori. Se pensiamo per esempio all’invasione di edifici, a tutte quelle forme di riappropriazione di spazi pubblici che passano attraverso le occupazioni, ci rendiamo conto come l’aggravante possa essere facilmente utilizzata. Ci sono infatti fenomeni sociali di rivendicazione di diritti e di extra-legalità che, fisiologicamente, per composizione sociale, comprendono soggetti maggiorenni e minorenni, sui quali sarà applicata l’aggravante di reato (Cognini)."

"Esiste una continuità diretta tra le decisioni del ministro dell’interno, le scelte antisociali del governo, le prassi delle forze di polizia, l’obiettivo comune è la cancellazione di ogni forza organizzata di dissenso sociale. Si vuole mantenere ed accrescere la divisione tra le forze di opposizione, sulla base del consueto paradigma che definisce violenta e contro le istituzioni qualsiasi posizione di protesta che non si piega ad un compromesso finale o alla logica dei rapporti di forza esistenti. Una violenza, individuata anche in una presunta resistenza, che cessa di essere ipotesi di responsabilità individuale, che andrebbe comunque accertata in sede giurisdizionale, per trasformarsi in responsabilità collettiva e quindi nella delegittimazione preventiva di intere organizzazioni o di gruppi che praticano il conflitto sociale, ieri la CGIL, oggi i COBAS ed i centri sociali, domani non si sa chi.
Il rischio alla fine è che le nuove disposizioni di legge, anticipate dalle prassi di polizia, e gli apparati di controllo sociale e di riproduzione dei consensi, orientino l’opinione pubblica verso allarmi fasulli, verso una falsa sensazione di (in)sicurezza, nascondendo anche l’evidenza dei fatti e la violazione sostanziale delle regole e del sistema delle libertà e delle garanzie, che caratterizzano lo stato di diritto sancito dalla Costituzione. Quanto ci rimane oggi dello stato di diritto, e cosa può fare ciascuno per difendere le residue prospettive di democrazia e libertà? Come salvaguardare in futuro il diritto al dissenso e la libertà di manifestazione? Come si potrà battere la mafia se non si potrà combattere per la garanzia dei diritti sociali, come il diritto alla istruzione pubblica? Interrogativi che ieri, in tanti si ponevano a Palermo, durante la commemorazione del giudice Falcone, mentre i tre esponenti dei Cobas venivano portati via dalla polizia per avere esposto uno striscione non gradito. Qualcuno pensava anche a manifestazioni non autorizzate alle quali aveva partecipato in passato. Come dopo la strage di via D’Amelio, nella quale vennero trucidati il giudice Borsellino e gli agenti della sua scorta. Un corteo spontaneo di cittadini e poliziotti, in via Roma, verso la Prefettura di Palermo, con le mani appoggiate sulle macchine della polizia con i lampeggianti accesi."

Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo

21/05/09

OSTRUZIONISMO

Ho letto oggi una circolare che annuncia l'esercitazione di evacuazione, obbligatoria due volte l'anno per le scuola dopo l'emanazione del T.U. 81/08, presso il plesso scolastico succursale il 29 maggio prossimo, a una settimana dalla fine delle lezioni. Complimenti per il tempismo! Diciamo che è una parata di culo, giusto per non smentirsi, visto che ne sono obbligatorie due esercitazioni l'anno, per legge. Ora (mi spiace di non esserci stato), pare che l'esercitazione di evacuazione nella sede centrale della scuola ci sia già stata, ma anche in questo caso (e le foto seguenti lo testimoniano) si è trattato di una pura formalità: infatti, continuano ad essere vigenti comportamenti illegali da parte dei molti che parcheggiano il loro veicolo davanti ai corridoi che consentono l'uscita di emergenza. Giusto per la cronaca, e per il documento di valutazione dei rischi: le uscite di emergenza della scuola, sede centrale, sono tre; due di essi vengono regolarmente ostruiti, e nessuno se ne avvede. Insomma, come capita sovente, dopo le belle parole nessuna pratica e dunque, tanto per non essere spiritosi, "fumo negli occhi"...
(ps: le foto sono tutte datate in presa dalla macchina fotografica)

SEQUENZA USCITA DI EMERGENZA 1












SEQUENZA USCITA D'EMERGENZA 2












16/05/09

MATERIALE UMANO

"Il materiale umano che abbiamo è questo, e non ci possiamo fare niente. Ce lo dobbiamo tenere". Già da qualche giorno mi frulla in testa questa frase, e di questa frase il suggestivo ossimoro: materiale umano. Dunque, siamo "materiale umano". Inizialmente mi sono venute in mente alcuni termini coniati dalla fantascienza, tipo i cyborg o i droidi. Poi la saga televisiva dei Visitors, e ancora il film "Blood Diamond" per tutta una serie di motivi.

Analizziamo, cercando di semplificarci la vita con Wikipedia e, al tempo stesso, complicandocela: "I materiali sono in generale sostanze fisiche utilizzate nella produzione di oggetti. I materiali sono normalmente ottenuti o raccolti allo stato grezzo come materie prime da cui è possibile ricavare altri materiali, adoperati a loro volta per assemblare i prodotti finiti. Esempi di materiali di impiego comune sono il legno, i metalli, i tessuti, la carta, il vetro, la ceramica, la plastica e il calcestruzzo. Il concetto di materiale si estende naturalmente al vuoto, necessario ad esempio per la produzione dei tubi catodici. La disciplina che si occupa dello studio dei materiali e delle loro proprietà è la scienza dei materiali". Ma non finisce qui: "Umano - aggettivo: proprio dell'Uomo; Umani - con questo anglicismo si intende spesso una razza che in un qualche mondo fantasy abbia più o meno le fattezze dell'uomo". Ah, ecco.

Il calcolo combinatorio che ogni lettore può fare consentirà di specificare quanti tipi possibili di "materiale umano" o "materiali umani" siano riconoscibili tra quelli normalmente in giro e quanti, invece, non siano più reperibili perché non vi sono più le condizioni necessarie o hanno buttato via lo stampo. Già, perché la parola "uomo" è ambigua. Wikipedia, per evitare di far fare confusione a chi consulta il termine spiega che possiamo avere: "1. Uomo - specie umana o essere umano, vedi Homo sapiens sapiens. 2. Uomo - come persona, vedi Persona. 3. Uomo - concezione biblica sull'essere umano, vedi Uomo (Bibbia). 4. Uomo - contrapposto a donna, vedi Uomo (genere)". Io, per evitare disquisizioni fuori luogo, escluderei i termini 3 e 4. Dunque, per capirci qualcosa a proposito del nostro "materiale umano", bisognerà addentrarsi nella spiega del termine "uomo" come specie e come persona.

Andiamo, allora, sintetizzando sulla voce che ognuno può ritrovare per esteso: "L'uomo (Homo sapiens sapiens), chiamato anche essere umano, è un mammifero euterio, un primate bipede, appartenente alla famiglia degli ominidi che comprende numerosi generi estinti e sette diverse specie viventi di grandi scimmie antropomorfe. La specie sapiens è a pelo corto, adattata alla vita terricola, e onnivora. La distribuzione attuale è pressoché cosmopolita. Gli uomini hanno un cervello molto strutturato e sviluppato, in proporzione alle dimensioni dell'individuo, e capace di ragionamento astratto, linguaggio e introspezione. Questa capacità mentale ha consentito il manipolare oggetti, e ha permesso all'uomo di creare una grande varietà di utensili. Similmente alla maggior parte dei primati, gli uomini sono animali sociali. Sono inoltre particolarmente abili nell'utilizzo di sistemi di comunicazione per l'autoespressione, lo scambio di idee, l'organizzazione. Gli uomini creano complesse strutture sociali composte da gruppi in cooperazione e competizione, che variano dalle piccole famiglie e associazioni fino alle grandi unioni politiche, scientifiche, economiche. L'interazione sociale ha introdotto una larghissima varietà di tradizioni, rituali, regole comportamentali, valori, norme sociali e leggi che formano la base della società umana. Gli uomini possiedono anche un marcato apprezzamento per la bellezza e l'estetica che, combinate col desiderio umano di autoespressione, hanno condotto a innovazioni culturali quali arte, letteratura e musica. Gli uomini manifestano il desiderio di capire e influenzare il mondo circostante, cercando di comprendere, spiegare e manipolare i fenomeni naturali attraverso scienza, filosofia, mitologia e religione. Questa curiosità naturale ha portato allo sviluppo di strumenti e abilità avanzati; gli uomini sono l'unica specie ancora vivente che utilizza il fuoco, cuoce i propri cibi, si veste, ed usa numerose altre tecnologie".

La questione si complica, più di quanto mi fossi aspettato.

"Persona - inoltre - è un concetto della filosofia, più precisamente dell'antropologia filosofica. Si definisce persona un essere razionale dotato di coscienza di sé ed in possesso di una propria identità. L'esempio ovvio di persona - per alcuni l'unico - è la persona umana. Persona deriva dal greco πρόσωπον, prósōpon cioè maschera dell'attore, termine entrato in Italia tramite l'etrusco phersu. Un'altra etimologia è da ricercare nel termine latino personare, (per-sonare: parlare attraverso). Ciò spiegherebbe perché il termine persona indicasse in origine la maschera utilizzata dagli attori teatrali, che serviva a dare all'attore le sembianze del personaggio che interpretava, ma anche a permettere alla sua voce di andare sufficientemente lontano per essere udita dagli spettatori".

A questo punto il calcolo combinatorio ci fa disperdere nei meandri delle possibili interpretazioni, e non è più così semplice capire che tipo di materiale umano abbiamo davanti. Cioè (e so che nel frattempo qualcuno si è già scoraggiato nella lettura, facendosi la domanda "non capisco dove voglia andare a parare?"), il termine "materiale umano", atteso che venga utilizzato come dispregiativo, è poi così dispregiativo come tende a sembrare o, piuttosto, nascondendosi nell'ossimoro non esprime l'esprimibile: ovvero, una valutazione oggettiva del comportamento di taluni a fronte di azioni che svolgono o non svolgono? Dire "materiale umano" significa moltissimo, ma non vuol dire molto se chi si esprime in tal senso non fa seguire azioni che dissipino ragionevoli dubbi filosofici coi fatti.

Traduco, infine (per i sopravvissuti), in italiano: il precedente post BUSTARELLE declina un'evidenza, e non ci torno sopra. Dinanzi a tale denuncia, che non è un montaggio fotografico, mi sarei atteso una repentina azione di rimozione dell'evidenza. Così non fu. Dopotutto, chi volete che legga il blog? L'evidenza è rimasta una permanenza. Al che ho segnalato agli uffici preposti l'evidenza e mi è stato risposto che il "materiale umano" a nostra disposizione non è in grado di rispondere attivamente alla rimozione dell'evidenza. E che immediatamente ci si sarebbe attivati per invitare il "materiale umano" a darsi da fare. Mentre io attendo che accada qualcosa, preparo altre evidenze per i prossimi post e prima della fine d'anno scolastico...

12/05/09

BUSTARELLE

Per dovere di cronaca, e di igiene, riporto qui appresso, con dovizia di date e orario, una serie di immagini relative ad alcune bustarelle che nessuno rimuove dal loro posto da almeno un mese. Evidentemente nessuno ha il compito di farlo. O nessuno controlla chi ha il compito di farlo. O, visto che la dirigenza ha ormai altri pensieri, non è stato preposto alcun controllo sull'igiene dell'istituto. O altro: fatto sta che le bustarelle stanno lì.


(fotografia del 17/04/2009)


(fotografia del 21/04/2009)


(fotografia del 22/04/2009)


(fotografia del 23/04/2009)


(fotografia del 24/04/2009)


(fotografia del 05/05/2009)


(fotografia del 06/05/2009)


(fotografia del 07/05/2009)


(fotografia del 08/05/2009)


(fotografia del 12/05/2009)

07/05/09

UN POSTO DI LAVORO

INDIGNATI, AFASICI, IMPEGNATI E ASSENTI

Qualche anno fa in un articolo su Repubblica il giornalista Giuseppe D'Avanzo scrisse: "L'indignazione non serve a capire. Può infiammare l'opinione pubblica, forse. Per il resto lascia le cose come sono. Al più le confonde." Cioè, l'indignazione non basta ma bisogna agire, fare qualcosa, smuovere le acque stagnanti e dimostrare, coi fatti, che si sta facendo qualcosa, anche mettendo a rischio il proprio status, il proprio ruolo, la propria immagine o solo impegnandosi concretamente che alcune cose è possibile farle "a norma di legge".
Vivo una scuola che, per volontà del suo dirigente, mi ha chiesto di compiere il mio dovere di insegnante "limitatamente al mio ruolo", come se il mio ruolo fosse soltanto quello di fare bene il mio dovere, e dunque insegnare la disciplina per cui ho un determinato contratto di lavoro. Questa scuola mi ha chiesto di limitare le mie azioni critiche o, meglio, di astenermi dall'essere un interlocutore attivo o, per essere concreti, di farmi i fatti miei (come se i fatti miei riguardassero soltanto il mio orticello, i miei alunni, i miei registri, le mie ore di lavoro).

La scuola, e questa scuola che frequento da qualche anno, è concretamente impegnata, grazie ad alcuni dei suoi insegnanti più attivi, in progetti a favore della legalità, contro la dispersione scolastica, per l'assunzione di comportamenti civili e responsabili da parte degli alunni, da una parte; al tempo stesso, la scuola e questa scuola, non si indigna se sopravvive in strutture fatiscenti, fuori norma, in cui la sporcizia quotidiana (e non solo quotidiana) non viene rimossa, in cui gli atteggiamenti generali di totale afasia, quando non di rimozione coatta delle responsabilità civiche insite negli indirizzi educativi della struttura, sono all'ordine del giorno, e di tutti i giorni. In poche parole, che si bea della propria mancanza di indignazione e, di conseguenza, di una propensione collettiva a "non agire" per provare a migliorare le cose.

Questi comportamenti, non solo sono corroborati da tanti piccoli atteggiamenti generali in cui tutti fanno la loro parte (dirigenti, insegnanti, personale, allievi), collaborano alla visione, dall'esterno, che la scuola, tutto sommato, non risponda alle esigenze della società, delle famiglie, della politica, per cui è slegata dalla realtà (come se la "realtà" corrispondesse, aderendovi, al quadro esigenziale di una contemporaneità disfatta e disfattista). Ora, quae cum ita sint (mi si scusi il latinismo che sta per "stando così le cose", ma mi è venuto spontaneo), non resta che indignarsi "facendo", tappandosi il naso (non gli occhi), mettendo le mani dentro la brodaglia nauseabonda in cui siamo immersi e trovare il tappo che faccia evacuare altrove la merda. Come se bastasse, ma non basta: bisognerà pure ripulire i residui e trovare un senso, una strada, un luogo in cui sia chiara, limpida, trasparente l'azione di chi si muove per fare cose.

Chiudo, prosaicamente, con una sorta di assunzione di realismo, tratteggiato da ipotesi agathotopiane (si veda, al proposito, il lavoro di James Meade, premio Nobel per l'economia): la scuola, in generale e questa, può cambiare solo se accetta una discontinuità; se ha fratture, cambi di direzione condivisi e comprensibili; se si dà regole accettate da tutti; se i gruppi di persone che vi lavorano dentro (consigli, collegi, assemblee, commissioni, etc) hanno chiara la direzione che la scuola, tutta e questa, prende o prenderà; se accetta un grado zero (o un livello tre, per dirla con Troisi) in funzione di un proprio ruolo nella società; se agisce facendo, eliminando le scorie e le disuguaglianze. In cinque parole: se si prende un impegno. Ma un impegno chiaro e non sfuggente, aleatorio, ondivago, impercettibile, vago, impositivo e parziale. Già, perché il rischio è questo: dinanzi alla necessità collettiva di un impegno, non remunerato in busta paga, verranno meno i motivi di un cambiamento e le cose rimarranno inalterate, per poi venire inalberate solo al cambio di gestione (ministro o dirigente che sia). Può essere, questo, un argomento di discussione?