05/10/09

>LA CROCIATA DEL PROF. M<

Analizziamo la cosa, in astratto. L’istituto X sta all’interno di un edificio che prima ospitava uffici per L’Agenzia delle Entrate (Ministero delle Finanze, suppongo). Tale edificio, e, mi si dice, tutta una serie di edifici di tal fatta affittati a scuole e uffici pubblici, appartiene a un cittadino, e ad una famiglia, che possiede una grossa parte degli edifici della città K realizzati in un periodo di boom delle concessioni edilizie (che altri chiamano abusivismo pre-condono).

Tale cittadino affitta l’edificio, e tutti gli altri edifici, ad un ente pubblico pressocché soverchio (la Provincia Q della Regione Y) pur sapendo, i due contraenti, che esso non possiede nessuno dei requisiti che lo possano definire edificio pubblico, men che meno “scuola”. Questo contratto dovrà pur esistere, ma non viene fuori. La storia è comune a molti plessi. Lasciamo questa situazione qui, e andiamo avanti.

Arriva a dirigere l’Istituto X il professor M che, pur fidandosi delle consegne avute dal suo predecessore, vuol comunque veder chiaro tra le carte e lungo i corridoi dell’Istituto ereditato. Batti e ribatti, scopre la magagna e se ne avvede al punto che non solo manda elegantemente, in cuor suo, a quel paese (non diremo quale) il suo e i suoi predecessori che con grande leggerezza hanno gestito, al di fuori di ogni normativa di sicurezza, la vita in quell’edificio, che tutto potrà essere (seppur fuori norma) ma non scuola, ma fa di più.

Lo dice, chiaramente, e senza poter essere smentito, ad una giornalista. La cosa arriva su internet e, come ci si aspetterebbe, inizia a circolare negli ambienti dirigenziali fino a scatenare un putiferio. E invece no. La cosa arriva su internet. Punto. Finisce là. Ma come? Proprio ora che un dirigente dichiara la sacrosanta verità, bolla di sapone?

Eppure è così. Il dirigente può soltanto correre ai ripari, dopo la sua dichiarazione, e prova ad aggiustare una porta di sicurezza, a mettere a norma un impianto elettrico, richiama docenti e personale a verificare lo status quo delle aule in cui lavorano: soldi però non ce ne stanno, e l’edificio continua a non avere i requisiti. Ma in quella scuola vivono 1500 persone ogni giorno. Ripeto: millecinquecento persone ogni giorno, distribuite su cinque piani.

I piani di sicurezza non sono adeguati, non ci sono scale di sicurezza e, ciliegina sulla torta, anche se ci fossero la popolazione defluente non saprebbe dove allunare, una volta fuori. Il professor M lo sa, lo dice, lo comprende ma non ha soluzioni e dall’inutile Ente non arriva nessuna notizia: né addenda né reprimenda.

Ora capiamo da cosa derivano gli indirizzi strategici di Gelmini: il signor ministro pensa che tutto funzioni a meraviglia dovunque e che, essendo tutto così perfetto, vadano apportati correttivi strutturali che non consentano iniquità di trattamento tra differenti istituti e/o scuole.

Io non posso che plaudire, invece, alla sagacia del professor M che, nonostante tutto, immagina di intravedere un barlume di speranza all’orizzonte e, credendoci, insiste nella sua ricerca dell’Eldorado. La sua non è una crociata perduta in partenza, come non lo sarebbe quella di altre scuole se a sollevare i vessilli e a sguainare le spade fossero le centinaia di dirigenti scolastici che subiscono immotivatamente angherie “oltre norma” dai loro superiori.

E, forse, è da qui che dovrebbe ripartire con nuovo vigore una protesta. Solo una scuola consapevole dei propri limiti reali può indicare soluzioni contro il precariato e suggerire che le buone pratiche possono partire dal corpo docente, dalla popolazione scolastica, dal personale più che essere esperimenti in provetta sulla vita delle persone. Ho esagerato?

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