22/10/08

AC(H)AB


Curioso, ma un sacco di gente usa gli acronimi e poi non sa nemmeno parlare in italiano. Secondo Tullio De Mauro, noto linguista, è un nome costituito da una o più lettere iniziali di altre parole [per es., radar, dall’ingl. ra(dio) d(etection) a(nd) r(anging)] o anche il nome costituito dalle lettere iniziali di una parola e dalle finali di un’altra [per es. motel, da mo(to–) e (ho)tel]. ACAB, così come si trova spesso scritto sui muri, sulle pareti, sugli striscioni, è, per l'appunto un acronimo.



Il fatto che sia comparso, scritto col fuoco (che animo poetico!), anche sui muri della scuola, e in maniera piuttosto evidente, non capisco se vuol dimostrare che chi lo scrive conosce il senso degli acronimi o, soltanto, immagina di saperci fare e si diverte (beato lui) a imbrattare uno spazio collettivo, la scuola appunto. In ultima analisi potrebbe anche significare il disagio di una generazione che, dismesse le parole con un senso compiuto, attiva un proprio linguaggio di sintesi in cui l'acronimo è sinonimo di rapidità (tvb, sms, 2u, eccetera) o solo di pigrizia.

Io mi sono permesso di aggiungere all'ACAB di cui sopra una H che, si sa, è muta ma, per quanto io ne sappia, ha il potere di trasformare, siccome muta, e dunque di mutare l'acronimo in nome, che non è magia da poco. E nemmeno il nome, mutato ma non muto, è nome da poco. Si tratta di un nome che, piuttosto, muta i nostri sogni, il nostro pensiero che, smarrendosi tra le parole, si ammutina e ci lascia esterrefatti, ammutoliti, dinanzi alla grandezza del nome che un H muta ha mutato e, per questo, reso mutevole il nostro desiderio di saperne di più. Così il muto acronimo si tramuta in altro, un sognatore, a cui generazioni di sognatori debbono l'immutabile desiderio di smarrirsi tra le parole. Intere.

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